“Così i soldati finanziano l’Isis”. Il racconto dell’infiltrato

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Isis- Nel processo a Como un militare della Guardia di finanza racconta il sistema: ci siamo fatti assumere per lavorare con loro.

“Ci siamo fatti assumere in due, io e un collaboratore di lingua araba, con l’obiettivo di lavorare gomito a gomito con Chaddad Ayoub. Per tre mesi, abbiamo passato insieme i turni di notte, nel magazzino di uno spedizioniere di Bologna”. Un’operazione sotto copertura, che lo Scico della Guardia di finanza ha condotto nel 2017, mentre indagava su un presunto filone di finanziamento del terrorismo siriano, la cui raccolta di fondi sarebbe avvenuta in Italia. Indagine sfociata in un processo che è in corso ora davanti alla Corte d’Assise di Como, dove ieri ha testimoniato il militare della Gdf che in quei mesi aveva lavorato sotto copertura per avvicinare e ascoltare uno dei principali indiziati. In aula è arrivata la sua voce, ma non il volto, nascosto dietro una vetrata a specchio, che lo preservava da qualunque contatto, soprattutto con gli imputati. Non era da solo in quell’operazione: “Chaddad – ha raccontato – era emerso come un soggetto incaricato della raccolta di denaro da mandare inSiria. Abbiamo quindi deciso di organizzarci per avvicinarlo ed entrare in confidenza con lui”. Assieme a lui c’era una “interposta persona”, non meglio identificata: un collaboratore di lingua araba che, assieme al militare, si è fatto assumere dallo spedizioniere, attraverso un’agenzia interinale. Era il 20 aprile 2017, quatto giorni dopo è arrivato anche il nuovo collega, odierno imputato.

”Chaddad – ha detto il testimone – parlava soprattutto con l’interposta, con me in modo più sfumato. Aveva raccontato di aver combattuto con i ribelli siriani contro Hassad e di un cugino ferito gravemente: aveva bisogno di raccogliere soldi per aiutare questo combattente, e in generale per sostenere la causa”. Il militare e l’interposta facevano il punto ogni giorno: “Mi riferiva di cosa aveva parlato con Chaddad, o cosa sentiva standogli accanto. Fin dal primo giorno gli aveva detto di aver combattuto militando in Al Nusra, mentre suo fratello era schierato con l’Isis. Aveva intravisto il suo profilo Facebook e una foto con la barba molto lunga, come i combattenti, ma poi gli aveva detto di aver cancellato tutte le foto di quel genere, per non essere riconosciuto”. All’interposta, Chaddad chiedeva soldi ogni giorno: “Non solo per la causa dei ribelli, ma anche per bisogni personali e familiari, salvo poi arrivare a dire che aveva bisogno di cinquemila euro per la famiglia di un parente morto in Siria. L’unica domanda a cui non ha mai risposto era la destinazione finale del denaro: parlava di un generale combattente al confine con il Libano, che in quel momento era una roccaforte di Al Nusra”. Infine un giorno, alla conversazione partecipa anche un collega marocchino, che gli chiede il perché degli attentati contro i civili: “Sono attività necessarie per la guerra”, aveva risposto Chaddad.

IlGiorno

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