Psichiatri, incombe una ipocondria da Covid

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Psichiatri, incombe una ipocondria da Covid – Incombe la minaccia di una nuova forma di ipocondria, quella da Covid. Come potrebbe essere diversamente? Bombardati costantemente 24 ore su 24 da notizie negative sul Covid. Per combatterla, unitamente a un percorso di cura specialistico nei casi più gravi, “alcuni accorgimenti possono concorrere a disinnescare l’escalation nelle manifestazioni compulsive dei sintomi e a ridimensionarne il peso: basta fare riferimento ai grandi fenomeni del passato come la peste, la Spagnola o la prima guerra mondiale: questo modo di parlare agli italiani rischia di rendere le persone più sensibili invece di responsabilizzare e rendere più attivi i comportamenti che possono limitare la diffusione del virus”.

A lanciare l’allarme sono gli esperti della Società italiana di psichiatria (Sip). Gli psichiatri sottolineano poi che è “fondamentale anche evitare di parlare solo di malattie e timori, perché ciò non fa altro che alimentare l’ansia, e ridurre i controlli diagnostici superflui e ingiustificati”. “Tanto la prenderemo tutti”: questo è il refrain che si sente ripetere.

“Il fatto – evidenziano in una nota Massimo di Giannantonio, ed Enrico Zanalda, co-presidenti Sip – che ogni giorno possiamo scontrarci con un problema sanitario che ci riguarda personalmente o indirettamente, è ormai presente nel vissuto di tutti noi e rischia di alterare e condizionare la percezione della malattia, interpretando in modo esagerato sensazioni di pericolo e malessere, con importanti ripercussioni dal punto di vista psichico”.

Del resto da secoli la paura è stata spesso utilizzata come strumento di controllo e di omologazione. Lo stesso terrorismo moderno sfrutta a proprio vantaggio tutte le potenzialità della società dell’informazione, se ne nutre e in essa si ricontestualizza. Tutto questo lo affermava già trent’anni fa Marshall McLuhan, il profeta del villaggio globale.

Egli affermava: “Senza comunicazione non vi sarebbe terrorismo. Quando McLuhan esprimeva questi suoi pensieri non esisteva ancora internet, non esisteva ancora la Cnn, la rete globale dell’informazione era in una fase embrionale rispetto a oggi. Nel mondo contemporaneo, nella “società aperta” descritta da Karl Popper, noi godiamo di una rete informativa costantemente interconnessa senza precedenti nella storia dell’umanità. E tutta la nostra esistenza è profondamente caratterizzata da un flusso informativo che annulla spazi e tempi.

Tuttavia la società dell’informazione presenta un inquietante “lato oscuro” che coincide con i rischi di un tale potere mediatico a disposizione di tutti e con la tendenziale debolezza delle nostre organizzazioni sociali e di sicurezza rispetto all’uso sempre più sapiente che i terroristi contemporanei sanno fare della rete informativa che avvolge il mondo.

Oltre trent’anni fa negli Stati Uniti ci si domandava se i media dovessero o meno fornire una copertura dettagliata degli atti del terrorismo: il 93% dei capi delle polizie locali era convinto che il terrorismo traesse incoraggiamento dalla trasmissione in diretta tv delle sue gesta e dei tremendi risultati del suo operato, accompagnato dalla relativa impreparazione professionale di molti giornalisti televisivi nei confronti di un fenomeno invisibile ma terribilmente letale. Questo spiega con sufficiente chiarezza un dato che oggi ci è familiare, ma che forse negli anni Settanta non lo era ancora abbastanza: la crescente “spettacolarizzazione” del terrorismo.

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