Fibromialgia invalidante sul lavoro per una persona su due

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Fibromialgia

Fibromialgia invalidante sul lavoro per una persona su due – La stanchezza è riferita dal 93 per cento dei lavoratori, tristezza e umore instabile rappresentano il 55%. Secondo i calcoli di CFU i fibromialgici in Italia 2 milioni, circa il 3 per cento della popolazione.

Il 53% dei pazienti affetti da fibromialgia ha problemi significativi sul lavoro. Questo è uno dei dati emersi da una ricerca, presentata oggi a Roma durante il sesto convegno nazionale del Comitato Fibromialgici Uniti (CFU). Il lavoro ha stimolato la nascita dell’Osservatorio Salute e Benessere sul Luogo di Lavoro. L’occasione è la Giornata Mondiale della malattia, identificata con un fiocco viola.

Secondo i calcoli di CFU i fibromialgici in Italia 2 milioni, circa il 3 per cento della popolazione. La ricerca, durata 3 anni, su 1179 persone, aveva tra i suoi obiettivi di individuare sia i fattori facilitatori e quelli che costruiscono una barriera, in alcuni casi molto alta, ad una vita lavorativa soddisfacente e produttiva.

“È la presenza di barriere che ostacolano il ‘funzionamento’ che determina lo status di ‘disabilita” e non la condizione in se'”, spiega Barbara Suzzi, Presidente del Comitato Fibromialgici Uniti. “Non si tratta di uno stratagemma semantico ma della definizione ufficiale dell’ICF (International Classification of Functioning disability and health). Se un cieco lavorasse al buio non sarebbe una situazione per lui disabilitante, mentre lo sarebbe per una persona vedente, ecco, questo esempio serve per comprendere come il contesto sia fondamentale”, aggiunge.

In molti casi nascondono la malattia per non essere giudicati, etichettati, marginalizzati. Il livello di benessere sul lavoro purtroppo non è alto. Solo il 14 per cento degli intervistati ne è soddisfatto. Il 53 per cento ha riferito problemi significativi, il 16 per cento non ci va volentieri mentre il 17 per cento manifesta un vero e proprio stato di ansia con preoccupazione di perderlo.

Il livello di mansioni non rappresenta un vantaggio: anche il 60% degli imprenditori ha problemi che li hanno costretti a cambiare anche drasticamente la quantità di ore lavorate o il tipo di attività. Il 69 per cento degli insegnanti ha problemi pratici ma teme meno di perdere il lavoro per le maggiori tutele offerte dall’impiego pubblico.

La stanchezza è riferita dal 93 per cento dei lavoratori, tristezza e umore instabile rappresentano il 55 per cento. Difficoltà legate ad orario, assenze e ritmi di lavoro sono state abbastanza bilanciate: in 467 hanno trovato accoglimento e soluzione e in 492 casi invece non sono state risolte.

Il lavoro di ricerca si è concentrato anche sui cosiddetti “accomodamenti ragionevoli”, ossia le soluzioni per modificare gli ambienti di lavoro, renderli inclusivi e permettere anche a chi ha una malattia cronica di essere produttivo, sostenersi, mantenere un ruolo sociale.

Sono così definiti ai sensi della Convenzione Onu e della Direttiva Europea 2000/78/CE che vuole favorire le pari opportunità sul luogo di lavoro. Nel caso della fibromialgia si tratta di sedie, postazioni, illuminazione, possibilità di fare pause anche brevi.

Nei questionari è emerso che sulla qualità del lavoro incidono fattori diversi ed eterogenei: strumenti ma anche mansioni, postazioni, livello di partecipazione, qualita’ delle relazioni. Mentre durante i focus group sono emerse le criticità: il mix di malattia invisibile (il dolore non si vede), richiesta di malattia, mansioni impossibili da svolgere e mancato riconoscimento da parte del SSN, fanno si che il soggetto fibromialgico sia considerato “improduttivo”.

“È un eufemismo per dire che alla persona con fibromialgia sono attribuiti: debolezza, scarsa volontà, mancanza di senso di responsabilità, inaffidabilità”, dice Suzzi. “Si tratta di una forma di stigma a tutti gli effetti. Inoltre nella scelta tra un dipendente sano e uno con fibromialgia – continua – per il quale il datore di lavoro non gode di vantaggi fiscali, come quelli per le categorie protette, è quest’ultimo a farne le spese. Ma anche quando la persona protetta riesce a mantenere il posto di lavoro, ciò ha un prezzo elevatissimo su salute e qualità di vita”. In alcuni casi i pazienti assumono farmaci che interferiscono con lucidità e capacità di concentrazione, soffrono di emicranie e hanno esigenze speciali per ciò che riguarda la temperatura degli ambienti.

Agi

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