Giornata mondiale delle malattie rare – Sono 10mila le malattie rare ad oggi conosciute e, in Italia, sono circa due milioni i malati rari (30 milioni in Europa). Lo affermano le associazioni dei malati in occasione della Giornata mondiale delle malattie rare che si celebra oggi. Nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica ed il 72% delle malattie rare ha un’origine genetica, le altre sono il risultato di infezioni, allergie e cause ambientali. Circa il 40% di queste patologie ha una componente neurologica e coinvolge il sistema nervoso centrale e periferico e il muscolo.
Il tempo necessario, in media, per arrivare alla diagnosi di una delle malattie rare conosciute è di quattro anni. Tempo prezioso, perché un avvio tempestivo delle terapie disponibili può fare la differenza. La diagnosi precoce è “l’ostacolo più gande”, sottolinea Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio malattie rare (Omar). “Per questo – rileva Bartoli – lo screening neonatale per l’individuazione precoce di tali malattie è essenziale e va ampliato e rafforzato su tutto il territorio nazionale. Ad oggi vengono ricercate 48 malattie rare. La legge 175/2021 per la cura delle malattie rare prevede un aggiornamento delle malattie per lo screening neonatale ogni due anni, ma la lista non è aggiornata dal 2016 e nel frattempo almeno altre 10 patologie rare hanno raggiunto i criteri per poter essere inserite”, spiega Bartoli.
“Il recente via libera al Piano nazionale malattie rare 2023-2025 rappresenta un passo enorme”, continua Bartoli , tuttavia “manca ancora l’approvazione da parte della Conferenza delle Regioni e ci auguriamo che ci sia presto un decreto per adeguati finanziamenti”. Nel frattempo, 16 Regioni si sono mosse da sole e hanno ampliato il numero di condizioni rare ricercate, creando così “forti differenze territoriali che vanno risolte”, sottolinea Bartoli. In Puglia sono 10 le patologie rare in più rispetto a quanto previsto a livello nazionale, in Abruzzo 7, in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana 5.
Inoltre, “cruciale è puntare sulla formazione, affinché i medici possano riconoscere i campanelli d’allarme e indirizzare i pazienti ai centri di riferimento”, sottolinea Bartoli. Al centro di tutto resta però la ricerca scientifica, la vera speranza per arrivare un giorno alla cura di tante patologie rare.
“L’Italia, insieme agli Stati Uniti, è il Paese dove si ricercano più patologie, ben 48. Ma allargando il panel ad altre 10 si potrebbe dare questa opportunità anche a bimbi affetti da altre gravi malattie”, afferma Andrea Pession, presidente Società di Malattie Metaboliche Ereditarie e Screening Neonatale (Simmsen), in occasione della presentazione del “Quaderno Screening neonatali estesi”, realizzato dall’Osservatorio Malattie Rare (Omar). Inizialmente limitati a tre condizioni, gli screening neonatali sono stati estesi, in Italia, grazie alla legge 167 del 2016, riconosciuta come fiore all’occhiello del nostro Paese. “I laboratori sono passati dai 30 iniziali a 15, coprendo un bacino di 25.000 nati ciascuno. La copertura ottimale sarebbe però di 60.000 neonati, dunque si può efficientare ancora”, spiega Giancarlo la Marca, direttore del Laboratorio Screening Neonatale Allargato dell’Ospedale Meyer di Firenze. Tra le dieci malattie che potrebbero rientrare nello screening, vi sono l’atrofia muscolare spinale (Sma), le malattie di Fabry, Gaucher, Pompe, mucopolisaccaridosi di tipo I e l’immunodeficienza Ada Scid. Lo screening permetterebbe di individuarle precocemente e di somministrare prima terapie in grado di salvare la vita o ridurre le disabilità.