E’ giusto non fare la mammografia per paura delle radiazioni?

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E’ giusto non fare la mammografia per paura delle radiazioni?
No, perché i raggi X emessi sono quasi inesistenti

Cosa verifichiamo

Mancanza di tempo e poca consapevolezza allontanano le donne dagli screening per il tumore al seno. Molto spesso, però, ad aumentare la distanza tra un controllo e l’altro è anche la paura. Ha viaggiato in rete e sui social la notizia della presunta pericolosità di uno degli esami cardine della prevenzione oncologica, la mammografia ritenuta pericolosa si utilizzano radiazioni. Questa fake rischia però di allontanare da un esame che permette di salvare ogni anno migliaia di vite. Per promuovere i controlli, sono tantissimi i progetti e le iniziative messi in campo da istituzioni e associazioni di pazienti, dalla celebre Race for the Cure, la maratona in rosa che torna da maggio a settembre a Roma e in altre 5 città italiane.

Analisi

Il tumore della mammella rappresenta il 30% di tutte le neoplasie, seguito da quello del colon-retto e del polmone. Nel 2022 sono state circa 55.700 le nuove diagnosi in Italia, con un aumento dello 0,5% rispetto al 2020. Secondo i dati Istat 2018 il carcinoma mammario ha rappresentato, con 13.076 decessi, la prima causa di morte per tumore nelle donne. Grazie ai progressi nelle cure e a programmi di diagnosi precoce, però, dalla fine degli anni novanta c’è una tendenza alla diminuzione della mortalità. Il cancro al seno raramente dà dolore, di qui l’importanza di controlli periodici in grado di individuare le formazioni in stadio precoce, sia con la mammografia (o radiografia della mammella) che con l’ecografia mammaria, consigliata per le donne più giovani.

Lo screening per il tumore del seno prevede un invito attivo da parte della ASL, tramite telefono o posta, ad eseguire gratuitamente e ogni due anni, la mammografia, esame che consente di identificare lesioni anche di piccole dimensioni. In Italia, in base alle indicazioni del Ministero della Salute, è rivlto a donne di età tra i 50 e i 69 anni: in questa fascia d’età si concentra, infatti, la maggior parte dei tumori del seno e, secondo gli esperti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, la partecipazione allo screening può ridurre del 40 per cento la mortalità. In alcune Regioni si stanno sperimentando programmi di screening che coinvolgano anche donne tra i 45 e i 49 anni e quelle fino ai 74 anni. In caso di un sospetto, al primo esame seguono approfondimenti e, se necessario, il trattamento chirurgico.

Nel 2020, a causa dell’impatto della pandemia sul sistema sanitario, secondo i dati Osservatorio Nazionale Screening la copertura si è ridotta di 29 punti percentuali rispetto al 2019 (59% rispetto 88%) con quasi 2,6 milioni di inviti ad eseguire una mammografia. E quasi una donna su due non ha accolto l’invito a sottoporsi all’esame. La pandemia Covid, come spiega Riccardo Masetti, direttore del Centro di Senologia dell’Irccs Policlinico Gemelli di Roma, “nella fase critica dell’emergenza sanitaria ha bloccato per oltre 6 mesi gli screening oncologici e, nel corso dei tre anni successivi, ci sono stati circa un milione di esami in meno. Questo equivale a circa 2000 donne che, ogni anno, hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno tardiva. Per loro significa dover affrontare terapie spesso più invasive e avere anche minor possibilità di guarigione”.

Conclusioni 

La mammografia, in particolare con la nuova tecnologia 3D o tomosintesi, “espone ad una quantità di raggi X che è stata ormai drasticamente ridotta. Inoltre, la periodicità consigliata per la mammografia è stata stabilita in modo tale che i benefici di una diagnosi precoce superino i possibili rischi legati alle radiazioni”, l’Istituto Superiore di Sanità. Mentre, se il tumore è identificato precocemente ed è piccolo, “per la paziente aumentano le possibilità di guarigione e l’intervento chirurgico è meno aggressivo”.  E’ importante spiegare, conclude Masetti, storico fondatore di Komen Italia, “che si tratta di un esame innocuo e il livello di radiazioni è irrisorio. Al contrario, posticipare la diagnosi complica la cura”.

Ansa

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