Donne, Covid e lavoro. Quando un disastro indica una soluzione

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Donne, Covid e lavoro. Quando un disastro indica una soluzione. L’opinione di Fabiana Gardini

Lavoro delle donne, per le donne, alle donne. Il tema è sempre attuale, sempre in evoluzione. Work in progress, si direbbe in azienda. Si invoca una rivoluzione “rosa” per uscire da una crisi che non è solo economica. Davvero. La si vuole interpretare come tutela della maternità e della professionalità: un vantaggio per il Pil nazionale, ed anche per il rapporto culturale con il lavoro.

Indiscutibile la capacità femminile di essere occupate, di saper cercare attivamente, o di trovare e mantenere un lavoro. Quando si parla di donne la capacità non è mai in dubbio.

Nell’ormai antica discussione sui temi del lavoro si torna sul terreno di confronto con Svezia e USA, considerati esempi di evoluta, lavorativa organizzazione. La donna svedese: un mito di libertà, di indipendenza, un esempio di attuali condizioni lavorative da seguire ed imitare in blocco. La donna americana ha saputo farsi valere in condizioni di massima competitività, con risultati al cui confronto le italiane appaiono appena un gradino più su della preistoria. Tranquillizziamoci: la perfezione non è di questo mondo e neanche le supergirl d’oltreoceano o del nord Europa ne hanno trovato l’elisir.

Le italiane osservano e studiano la singolar tenzone: modello U.S.A. dove, percentualmente, ci sono più donne dirigenti, imprenditrici, leader di grandi aziende o di start-up contro organizzazione svedese dove ci sono più donne al lavoro ma a livelli meno importanti. Svezia o America: qual è il vero paradiso delle signore, quello con organizzazione e norme da copiare per garantire al sesso femminile i migliori e certi sviluppi per una vita lavorativa e familiare di successo, chissachilosa. La Svezia, sorpresa, per il Global Gender Gap Index non è capoclassifica, è la quinta nazione dal punto di vista della qualità dei diritti del lavoro femminile. Stati Uniti al trentesimo posto. L’Italia dal suo 63 esimo saluta. Mito nordico e americano ridimensionati e, a sorpresa, applausi e coppa all’Islanda. Comunque si voglia vedere la partita Svezia-Usa, il tema è sempre lo stesso: l’equilibrio tra lavoro e famiglia. Domandiamoci pure con Christina Hoff-Sommers se per annullare il gap tra i sessi sia davvero sufficiente cambiare la società o riformare il lavoro o se invece non siano le “preferenze di base” delle donne che devono cambiare. Preferenza, parola importante.

Si potrebbe ancora di più affondare la lama: la questione femminile giustamente combattuta fino all’estremo, di quest’estremo può diventare vittima. La filosofa femminista statunitense dell’American Enterprise Institute sostiene, smettiamola di sorprenderci, che in Svezia, dove le politiche family-friendly sono la norma e la parità una parola d’ordine nonché un ministero, le donne preferiscano il part-time e più tempo fuori dal lavoro alla carriera. Scelgono, le donne svedesi, preferiscono. La grande meta da raggiungere, la vera conquista è dunque la possibilità di scegliere. Secondo un nuovo studio di due economisti della Cornell University, Francine Blau e Lawrence Khan, uditeudite, le politiche svedesi, molto generose quanto a congedi e possibilità part-time, producono effetti collaterali imprevisti: anziché rafforzare l’attaccamento delle donne al posto di lavoro lo indeboliscono. Addirittura. Non americane e carrieriste per forza, dunque, e neanche nordiche valchirie, lavoratrici comunque assistite. Le italiane possono e devono fare meglio. In Italia la donna, sempre in bilico tra famiglia e lavoro, è stata fortemente messa alla prova dall’emergenza Covid 19. Già prima della pandemia i dati sul lavoro femminile non erano certo confortanti, il buco nero era in attesa. Il Covid è stato la spinta verso il baratro per chi si barcamenava sul suo ciglio con performances da annali: nel corso del 2019 solo il 21% delle richieste di part time erano state accolte e ben 37 611 lavoratrici avevano rinunciato al lavoro. Attenzione: rinuncia, non scelta e neanche preferenza.

La differenza tra la donna italiana, la svedese e quella americana è proprio in questa tristissima parola: rinuncia. Il problema è tutto qui. Le donne devono scegliere il proprio tipo di funzione, scegliere, non rinunciare. E si può scegliere solo quando si è liberi. Nel caso specifico solo quando l’attività di amministrazione, gestione e supporto fattivo alla vita della famiglia sarà retribuito come un qualsiasi incarico di amministrazione, gestione o supporto di matrice statale. Si riscontra oggi una recessione tutta al femminile. Posti di lavoro persi e crescente divario nei compensi salariali, l’aumento dei lavori di cura non retribuiti e una politica di aiuto poco significativa. Che tutto ciò fosse inevitabile è da dimostrarsi. Lungo l’elenco delle svariate forme di assistenza familiare, dai figli ai genitori ai coniugi, che le donne hanno profuso al proprio nucleo. Tristemente provato quanto la prolungata coabitazione in pochi metri quadri abbia potuto esacerbare situazioni interne al bozzolo familiare ed estremizzarne i dissapori. Tanti asterischi di difficoltà ed una straordinaria fermezza e volontà di superare situazioni molto difficili e complesse.

La signora GinaLinaNinaMina, impiegata, costretta dalla pandemia nel suo tricamere bagno, con marito e figlio preadolescente. Un solo computer, due adulti in home working, pischello in DaD. Variabili aggiuntive possibili: genitori in difficoltà, marito con tendenza alla violenza. Quando il gioco si fa duro. La capacità della signora a tenere per tanti mesi il famoso equilibriosopralapazzia è stato l’indice di una fermezza e capacità organizzativa che avrebbero meritato premi produzione. Quelli per lavoro e sostegno familiare straordinari. Invece. Su 101mila covidisoccupati, le donne sono state 99mila. Il punto di domanda impera gigantesco. Come mai. Il dato è sempre di tipo culturale. Il modello lavorativo è da noi patriarcale: il lavoro è più importante per l’uomo che per la donna. Quindi è la donna che può rinunciare. Complimenti. Ciò ha determinato che il 75% del peso delle cure sia stato tutto per la donna. Oh la novità. La ricetta per il recupero esiste e la pandemia l’ha sottolineata con l’evidenziatore: tutele, opportunità, protezioni e laissez-faire.  Parola magica: laissez-faire cioè “lascia fare”. La vecchia massima liberista vale sempre. Libertà di scegliere. Questo l’impegno che lo stato deve assumere nei confronti delle donne. Dare loro la possibilità di scegliere. Se una donna sceglie di lavorare per incrementare il PIL familiare, deve poterlo fare sapendo che la propria attività ha un valore economico e sarà retribuita. Ci saranno poi le donne che sceglieranno il lavoro extra famiglia. Avendolo scelto potranno dare il meglio di se. Italiane battono il resto del mondo 10 a zero. Non c’è partita.

Di Fabiana Gardini

 

 

 

 

 

 

 

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