Lo schema è sempre lo stesso: Francia, Emirati da un lato; Turchia dall’altro. Potenze sul fronte opposto che si combattono dal Medio Oriente al Mediterraneo orientale fino al Nord Africa, e che adesso si sfideranno anche nel Sahel e nell’Africa centrale: quella fascia di terra africana sempre più al centro degli interessi mondiali.
Il ministero della Difesa di Abu Dhabi ha mandato un messaggio preciso. Gli EAU hanno avviato i primi voli logistici per sostenere gli sforzi francesi e dell’alleanza guidata da Parigi nell’ambito della “lotta al terrorismo lungo la regione del Sahel”. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale emiratina, la Wam, il governo arabo si è detto “desideroso di aiutare a garantire la sicurezza e la stabilità nella regione”. Una frase che ha diverse sfaccettature specialmente in una regione dove non sono in gioco soltanto gli equilibri regionali, ma anche internazionali. Perché è chiaro che l’interesse francese e degli Emirati non è solo quello di stabilizzare l’area per sostenere le nazioni saheliane, ma anche quello di evitare che forze avverse all’agenda di Abu Dhabi e Parigi (quindi i turchi) riescano a ottenere il controllo su un’area di particolare rilevanza sia per le risorse energetiche che per il controllo dei flussi migratori. Oltre che per la vicinanza alla Libia, vero e proprio teatro di un “grande gioco” nordafricano.
Per gli Emirati e per la Francia, il nemico pubblico numero uno in questo momento è la Turchia. E la mossa di Abu Dhabi e Parigi va letta principalmente in chiave anti Ankara, soprattutto dopo la morte di Idriss Deby. La morte del presidente del Ciad è stato un vero e proprio campanello d’allarme. Come scritto da Filippo Ivardi Ganapini per il Domani, l’uccisione del leader di N’Djamena per mano dei ribelli del Fact porta inevitabilmente a due strade: il proseguimento di una difficilissima transizione militare oppure l’ingresso nella capitale dei ribelli che, secondo le fonti locali, sono sostenuti sia dalla Turchia che dal Qatar. Un pericolo ribadito anche dallo storico e analista Roland Lombardi che ad Al Monitor ha confermato che “il Ciad di Deby è il ‘muro’ che blocca e impedisce la progressione dell’islamismo e dell’influenza turca in Africa”. La caduta di questo “muro” è quindi il vero problema che ha innescato la discesa in campo degli Emirati, la Sparta del Golfo, una potenza che ormai è coinvolta nella sfida a turchi e qatarioti ovunque sia presente una forza legata a Doha e Ankara. Fonti greche confermano questa tesi, e c’è anche chi parla di un interesse turco a qualche piccolo ma significativo avamposto in Niger e Ciad non solo per sfidare i francesi sul posto, ma anche come sfida di Ankara alla presenza francese nel Fezzan.
Il controllo del Ciad, in questo momento, diventa pertanto essenziale. La porta meridionale per la Libia, in particolare verso la Cirenaica, rappresenta la chiave per avere un nuovo punto di pressione nella partita che si gioca per controllare il paese nordafricano. Ma significa anche escludere una potenza rivale da un paese fondamentale nella sfida per il cuore dell’Africa e per le risorse dell’area. È un luogo che interessa tutti, francesi, turchi, emiratini, qatarioti, russi, egiziani e sudanesi. E in questo quadro si inseriscono anche le potenze europee, che Parigi vorrebbe coinvolgere nelle delicate operazioni in Sahel per evitare di sobbarcarsi ancora per troppo tempo la campagna militare contro ribelli e frange terroriste di matrice islamista. Non sorprende quindi che i blocchi che si sfidano in Ciad e in tutto il Sahel siano sempre gli stessi. Perché la spinta verso l’Africa della Turchia si contrappone agli interessi francesi, all’espansionismo degli Emirati e ai timori dell’Egitto.