Ceuta-Marocco, una frontiera caldissima – L’arrivo di 8mila migranti nell’enclave è l’ultimo, clamoroso episodio nei complessi rapporti diplomatici tra Marocco e Spagna, divenuti di nuovo critici nelle ultime settimane
È l’epilogo della cronaca di una crisi annunciata: in meno di 24 ore più di 8.000 migranti hanno attraversato i confini di Ceuta, l’enclave spagnola nel nord del Marocco che s’affaccia sullo Stretto di Gibilterra. L’ultimo, clamoroso episodio nei complessi rapporti diplomatici tra Marocco e Spagna, divenuti di nuovo critici nelle ultime settimane. Una frontiera caldissima Succede da molti anni: i migranti cercano regolarmente, spesso rischiando la vita, di entrare a Ceuta per stabilirvisi; oppure per cercare di raggiungere, da lì sulla costa, il continente europeo che è vicinissimo: appena 17 km di là dal mare. Le ultime 48 ore hanno tuttavia sorpreso le autorità spagnole per il numero degli ingressi. 8.000 persone. Ben oltre la media annuale di quelli che cercano di arrivare alla “frontiera europea nel territorio africano”: così le autorità spagnole descrivono Ceuta e Melilla (l’altra città-enclave, 225 km a Est). Per i marocchini sono solo due città occupate dalla Spagna, strascico e testimonianza di una storia piena di conflitti tra le due sponde del Mediterraneo. Sgarbo diplomatico Per chi conosca la storia dei due Paesi non è difficile comprendere che il flusso migratorio procedente dal Marocco è, più che altro, una misura di ritorsione nei confronti della Spagna. È parte di un “dialogo continuo” tra Madrid e Rabat che cambia di forma ma mai di sostanza, fatto com’è di un’agenda ricca di spinose divergenze. Si ragiona, si fa diplomazia con i gesti, più o meno simbolici e rituali. Il primo gesto è stato l’annullamento di un viaggio di Stato che il primo ministro Pedro Sanchez avrebbe dovuto effettuare in Marocco. Era diventata una tradizione, ormai, che la prima destinazione estera dei presidenti del governo spagnoli fosse Rabat. Sanchez non ha potuto rispettarla per motivi ancora non chiariti. La questione del Sahara Occidentale Una spiegazione per questa crisi specifica c’è, e poggia sulle reciproche rigidità relative all’annosa questione del Sahara Occidentale. La presenza di Podemos nel governo di Madrid non è mai stata gradita dalle autorità marocchine, anche perché il Partito di Pablo Iglesias è un convinto difensore dell’autodeterminazione nel Sahara Occidentale, amministrato dal Marocco fin dal 1975, dopo duri negoziati con il governo spagnolo di quell’epoca e che i marocchini considerano come parte integrante del loro territorio. Il Marocco, da parte sua, ha tutto l’interesse a porre l’intera questione del Sahara Occidentale all’interno della lotta per la leadership regionale. Secondo Rabat, infatti, è l’Algeria che manovra il gruppo indipendentista del Fronte Polisario, usandolo per trovare uno sbocco verso l’Atlantico e per evitare di negoziare la questione delle frontiere che già nel 1963 provocò la cosiddetta “guerra delle sabbie”. Bloccato il conflitto all’inizio degli anni ’90 dopo quindici anni di guerriglia, il problema è riemerso alla fine di novembre 2020, quando il trentennale “cessate il fuoco”, concluso tra Rabat e il Fronte Polisario nel 1991, è stato rotto. Un mese dopo, Donald Trump ha riconosciuto la sovranità marocchina su tutto il territorio. Da allora, il Marocco ha aumentato la pressione affinché la Spagna e la comunità internazionale seguano le orme di Washington. Ma gli Stati dell’Unione europea mantengono ferma la loro posizione: il conflitto deve essere risolto nell’ambito dell’ONU, sulla base di un referendum di autodeterminazione. Il leader del Fronte Polisario ricoverato in Spagna È così importante la questione del Sahara Occidentale per Rabat, che si poteva immaginare la reazione marocchina al recente ricovero di Brahim Ghali, leader del movimento indipendentista saharawi, in un ospedale spagnolo per i postumi del Covid-19. Molti media iberici rivelano che la decisione di lasciar entrare Ghali, anche se sotto falso nome e con un passaporto diplomatico algerino, ha suscitato un aspro dibattito nello stesso governo Sanchez. I quotidiani El Mundo e ABC, per esempio, hanno affermato che il ministro degli interni Fernando Grande-Marlaska avrebbe “rifiutato di accogliere in un ospedale spagnolo il leader del Fronte Polisario” e aveva “messo in guardia circa le possibili conseguenze”. Citando fonti governative, i media aggiungono che “la decisione di ospitare il leader del Polisario è stata presa dalla ministra degli Affari esteri, Arancha González Laya, e approvata da Pedro Sanchez”. Marlaska era consapevole che l’atto di accoglienza avrebbe riaperto lo scontro con Rabat e ha insistito: la presenza in Spagna del segretario generale del Fronte Polisario ha “irritato il Marocco con la conseguenza del massiccio ingresso di immigrati a Ceuta”. Siamo, insomma, davanti a un’altra puntata di questa lunghissima tragicommedia delle parti, in cui ognuno usa le carte che ha in mano, anche la temutissima pressione migratoria. Rabat vuole ricordare al governo spagnolo che è un partner essenziale nella gestione dei flussi migratori, in particolare alle frontiere di Ceuta e Melilla. La Spagna sottolinea con fermezza la sua sovranità e il suo diritto di ospitare chi vuole. Il Marocco ha richiamato la sua ambasciatrice. Si può solo aspettare la prossima mossa.