Luca Attanasio: 22 febbraio 2021 – 2022. Un anno fa, a Kibumba, nei pressi di Goma, avveniva l’agguato in cui veniva ucciso il giovane ambasciatore italiano, appena 43enne. Con lui, sull’auto appartenente ad un convoglio delle Nazioni Unite, il carabiniere della scorta, Antonio Iacovacci, e l’autista congolesce, Mustafa Milambo.
La moglie di Luca Attanasio, Zakia Seddiki, attiva anche lei in campo umanitario e mamma di tre figliolette, ha spiegato più volte all’Italia chi era il marito. Ovviamente nel primo anniversario della sua scomparsa è stata di nuovo interpellata dai media.
Il “Corriere della Sera” ha voluto chiederle se Luca le manca; cosa provano le loro bambine e parlare dell’impegno umanitario che lei e il dipolomatico condividevano. Zakia ha dichiarato che paradossalmente non sente la mancanza del marito; ma solo perché “Luca è ancora con me. Non c’è fisicamente ma è ancora qui. Continua a fare delle cose. Mi sostiene in ogni cosa che faccio. Continua a unire le persone, come nella rete del Congo: è stato Luca a crearla. Adesso è rimasta unita”.
Per le piccole è un po’ diverso: “Vivono una mancanza fisica. Ma il padre c’è sempre. A casa nostra tutti i giorni si parla di Luca. Questo aiuterà le bambine a superare la mancanza fisica del padre”.
Il toccante racconto di Zakia continua. Ricorda che quando Luca è stato ucciso, avrebbe dovuto essergli accanto nella sua nuova missione con il Programma Alimentare Mondiale dell’Onu (Pam): vi partecipava spesso. Invece sua madre si era dovuta recare in Marocco e lei era rimasta a casa con le figlie, non avendo mai voluto affidarsi a delle baby sitter.
Ora che Luca Attanasio non c’è più, la moglie sta portando avanti i suoi valori. Ha aperto anche in Italia una sede della Fondazione che avevano creato in Congo: “Mama Sofia”. Nata a Kinshasa nel 2017, è formata da volontari italiani.
Si occupano di “seguire i bambini di strada, in Congo, l’ultimo Paese dove Luca ha lavorato. Si occupava principalmente di dare loro istruzione e formazione”, ha spiegato Zakia.
Intanto le indagini sull’agguato compiute da Procura di Roma, con a capo il sostituto procuratore Sergio Colaiocco, sono concluse. E’ emerso che Attanasio, Iacovacci e Milambo sono stati vittime di sei banditi. Volevano 50mila dollari, ma i malcapitati non ne avevano.
Così i malviventi, dopo aver ucciso l’autista, hanno tentato di rapire l’ambasciatore e il carabiniere. Li hanno portati in mezzo ai boschi e il tutto è finito in tragedia, dopo uno scontro a fuoco con un guardiano. Sono indagati Rocco Leone, vicedirettore del Pam, e il suo collaboratore Mansour Rwagaza. L’accusa per loro è di “omicidio colposo per il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza nella preparazione della missione”.
Erano presenti quando sono avvenuti i fatti:“Ho dato tutto quello che avevo, 300-400 dollari e il mio telefonino. Anche l’ambasciatore ha cominciato a togliersi le cose che aveva indosso, sicuramente il portafogli e forse l’orologio. Ho detto a Iacovacci di stare calmo e di non prendere la pistola, forse gliel’ha detto anche l’ambasciatore”, ha detto Leone. Rwagaza ha aggiunto che gli aggressori “hanno intimato di consegnare i soldi. Volevano 50 mila dollari, altrimenti ci avrebbero portati nella foresta e poi avrebbero chiesto un riscatto… ho detto a Rocco Leone che dovevamo cooperare per evitare che ci sparassero”.
Finalmente c’è stata una svolta nell’inchiesta, che ovviamente coinvolge anche il Congo: le autorità locali avrebbero arrestato sette presunti responsabili e alcuni avrebbero confessato.
Resta da capire come e da chi sono stati informati i banditi. Emerge dall’inchiesta (sottolinea “Il Fatto Quotidiano”) che le condotte di diversi membri dell’agenzia Onu per cui lavoravano i tre uccisi “contribuivano e comunque facilitavano le condotte poste in essere dal gruppo armato”. Tuttavia c’è stata sicuramente una “soffiata ‘interna’” e gli unici a sapere dove, come e quando (dal 19 al 24 febbraio) si sarebbe svolta la missione, erano la Pam, l’ambasciata, il governo e le forze armate congolesi.
Zakia ha detto subito che il marito era stato tradito: “tradito da qualcuno vicino a noi, alla nostra famiglia.” A loro va il cordoglio della comunità marocchina.