La storia di Dalal Nabih: avevamo intervistato esattamente l’anno scorso questa coraggiosa giovane donna di origine marocchina (sì, “di origine”, perché Dalal, anche se non ha ancora la cittadinanza italiana, è in Italia da moltissimi anni e si sente italianissima: ne riparleremo!). Allora ci aveva detto che cercava giustizia per sua madre, Fathia Bahar (foto).
Il marito, Bachir Nabih, l’aveva uccisa a coltellate a Settimo Milanese, in provincia di Milano, il 23 novembre del 2000, perché lei voleva divorziare. Poi l’uomo (il quale, per cercare di giustìficarsi, aveva pure ingiustamente accusato la moglie di averlo tradito), era fuggito in Marocco portandosi dietro Dalal, la figlia minore, che era presente al momento del delitto.
Ora finalmente, dopo quasi 22 anni, la giustizia è arrivata (dopo una panchina rossa dedicata a Fathia dietro la sua casa il 25 novembre scorso Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne): nella mattinata dell’altro ieri, mercoledì 13 aprile, la Corte d’Assise di Milano ha confermato in appello la sentenza di ergastolo pronunciata in primo grado nei confronti di Bachir Nabih.
“Il processo è iniziato nel 2017 – ci ricorda Dalal – e la prima sentenza era stata pronunciata a settembre. Poi appunto c’è stata la sentenza di appello con il carcere a vita. L’udienza è iniziata alle 9:15.
L’avvocato ‘dell’ imputato’, chiamolo così, del ‘condannato’, aveva sostenuto che bisognasse diminuirgli un po’ la pena, in quanto lui in Marocco aveva comunicato che aveva ‘fatto del male’ a sua moglie. Non che l’aveva uccisa: che le aveva ‘fatto del male'” (sento la risatina sarcastica di Dalal, colma di dolorosissima indignazione, ndr)!
Poi, però i giudici, si sono riuniti in camera di consiglio; sono tornati verso le 11 e hanno ribadito la condanna all’ergastolo.
D. Cosa hai provato?
R. “Per me è stata una vittoria, una felicità immensa … Ho lanciato un urlo di gioia! Ora posso ‘lasciar andare’ mia madre: sono fiera di me stessa, perché sono riuscita a darle giustizia e ora lei può dormire in pace. E’ stato bellissimo …”
D. Speriamo che anche in Marocco vengano messi al corrente di questa sentenza e venga giudicato anche lì …
R. “Sì, mi auguro che il Marocco veda o senta questa storia, perché lui attualmente vive lì libero. Tra l’altro ho saputo che si è risposato! E’ giusto che il Marocco faccia qualcosa; sia un esempio per questi ‘balordi’ …
Voglio credere anche nella giustizia marocchina. Sapendo anche che il Re, è una persona veramente molto sensibile a queste vicende, vorrei chiedere: ‘Io sono stata ‘figlia di chi’, quando è successo il fatto? Il Marocco avrebbe dovuto anch’esso tutelarmi; aiutarmi, venirmi incontro … Vorrei che succedesse; che al Re arrivasse questa vicenda: non voglio nulla di impossibile, ma solo che giustizia venga fatta. Il Marocco me lo deve: avevo solo 14 anni, quando mia madre è stata assassinata e ne ho passate di ogni. Neanche i protagonisti di un film horror, hanno passato ciò che ho passato io!”
D. Adesso state cercando di ottenere l’estradizione in Italia?
R. “Sì, voglio che l’assassino paghi, per il tanto dolore che mi ha procurato: è giusto!”
D. Cosa vuoi dire alle ragazze che, in Italia, si trovano in una situazione simile alla tua?
R. “Alle donne e alle ragazze dico ‘ribellatevi’ e non permettete mai a nessuno di togliervi la libertà . La vita è un dono prezioso.”
D. Adesso, però, devi continuare a combattere un’altra battaglia: quella per riavere tuo figlio Anouar, rapito dal tuo ex marito …
“Certo, la mia battaglia per mio figlio continuerà sempre, anche finché non realizzerò anche questo sogno: riabbracciarlo!”
D. A che punto sei con l’iter per la tua cittadinanza italiana?
“Allo stesso. Ci siamo fermati perché c’era il Covid. Anche quella che mi venga negata la cittadinanza italiana, è una ‘punizione’ che non capisco. Sono qua da anni e sono italianissima. Ho sempre lavorato; non ho mai chiesto nessun tipo agevolazione, ma ho ottenuto solo con le mie forze ciò che mi spettava. Mi merito la cittadinanza”.
Sì, carissima Dalal … Te la meriti davvero!