Brescia: controlla se la figlia 17enne è ancora vergine, processo per maltrattamenti

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Brescia: controlla se la figlia 17enne è ancora vergine, processo per maltrattamenti – I genitori erano contrari al fidanzamento con un italiano e avrebbero voluto mandare la figlia nel loro paese d’origine, il Marocco, per l’infibulazione. Ora la ragazza è in una comunità protetta.

Ora, lei, 17 anni, vive in una comunità protetta, lontana dalle violenze, dai soprusi, dai condizionamenti psicologici con i quali ha convissuto fin da quando era solo una bimba. I suoi genitori, invece, sono entrambi a processo per maltrattamenti. Ma, a gettare ancora più orrore su una situazione già da brividi, c’è un’accusa di violenza sessuale nei confronti della mamma, arrivata a commettere abusi per verificare l’integrità della virtù della ragazzina. La preoccupazione era quella che nessuno l’avrebbe più sposata e, per rimediare alla deflorazione, il progetto (barbarico) era quello di mandarla nel loro Paese d’origine, il Marocco, per l’infibulazione. Bassa Bresciana, estate 2020.

Amina e Francesco, 19 anni, (nomi di fantasia) si innamorano. Ma i genitori di lei — che negano ogni addebito — osteggiano in tutti i modi la relazione. Secondo le ricostruzioni fatte dai Carabinieri, coordinati dal pm Antonio Bassolino, era impensabile per i genitori che Amina frequentasse e, poi, sposasse un ragazzo italiano, per giunta di 4 anni più grande di lei. «La picchierò finché non fa quello che dico io», aveva detto il padre al fidanzatino, che si era presentato a casa per ufficializzare la loro relazione e avere la benedizione della famiglia dell’innamorata. Invece, secondo quanto riferito agli inquirenti, aveva trovato insulti, minacce e botte, pure lui. Amina, sentita nell’iter processuale dal giudice Roberto Spanò con un’udienza protetta, era stata chiusa in casa, controllata in ogni movimento, con verifica di ogni chiamata che riceveva sul cellulare. E la situazione si era ulteriormente appesantita, quando Francesco aveva cercato di stemperare gli animi, facendosi accompagnare a casa della ragazza da un amico e dal cugino. Ma la visita si era risolta con una zuffa per strada e nemmeno il tentativo di intercessione della mamma di lui con la mamma di lei – «sono giovani, si vogliono bene, perché ostacolarli?» – aveva sortito gli effetti sperati. Anche la signora aveva avuto la sua dose di insulti e minacce. Dopo l’ispezione violenta subita dalla ragazza da parte della madre, Amina e Francesco avevano pensato anche a una «fuitina», finita, tanto per cambiare, con le botte, questa volta da parte del fratello ventiquattrenne di lei (finito a giudizio e ora sottoposto a un provvedimento di messa alla prova). A quel punto, non potevano più essere sottovalutati i rischi per l’incolumità di Amina e Francesco e i suoi familiari si sono rivolti ai Carabinieri. In aula la mamma di Amina ha rigettato le accuse che le sono state mosse, negando l’esistenza di un problema culturale legato alla storia tra la figlia e il diciannovenne. La prossima udienza del processo è fissata per il prossimo 6 ottobre.

brescia.corriere

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