La “leonessa dei Balcani” istigava ragazze a unirsi all’Isis

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La “leonessa dei Balcani” istigava ragazze a unirsi all’Isis, ma non c’è prova che fosse terrorista – Le motivazioni della condanna (ridotta rispetto alle richieste) per la 20enne Bleona Tafallari.

Non c’è la prova che la kosovara Bleona Tafallari, condannata a luglio a tre anni e quattro mesi di reclusione, facesse parte di un’organizzazione terroristica affiliata all’Isis (i Leoni dei Balcani), mentre è risultato evidente che volesse aggregare giovani donne per coinvolgerle nel terrorismo di matrice islamica. E’ il senso delle motivazioni della sentenza di condanna, redatte dal gup di Milano Livio Cristofano, rese note adesso. Arrestata a novembre del 2021 e inizialmente indagata per terrorismo internazionale, la ragazza è stata infine condannata per istigazione a commettere reati con l’aggravante del mezzo informatico.

Secondo il gup, la giovane “istigava terzi ad organizzarsi per costituire” una cellula femminile “al fine di perseguire i medesimi scopi” dell’isis e di “tutti gli organismi terroristici dell’eterogeneo mondo islamico”. Il gruppo che avrebbe tentato di formare e sarebbe stato di “supporto morale e materiale” ai combattenti dello stato islamico.

Chi è la “leonessa dei Balcani”

Tafallari, che nelle chat si firmava ‘leonessa dei Balcani’, è moglie di un miliziano dell’Isis, kosovaro di 22 anni con legami indiretti con l’autore della strage di Vienna del 2 novembre 2020. I due si sono conosciuti online e si sono sposati in Germania, con rito islamico, all’inizio del 2021. Successivamente l’imam che ha celebrato le nozze è stato arrestato nell’ambito di un’altra indagine. “Io sposerò un mujahidin e non vedo l’ora di morire con lui inondata del sangue degli occidentali”, diceva durante una telefonata intercettata. Radicalizzata da quando aveva 16 anni, la ragazza a settembre 2021 si era trasferita dal Kosovo a Milano per rinnovare la carta d’identità (dal 2009 aveva vissuto in Italia) e per sottoporsi al vaccino anti covid. In due mesi aveva sempre vissuto a casa del fratello, in via Padova, uscendo di casa solo due volte.

Gli investigatori hanno trovato nel suo smartphone diverse immagini e documenti sul terrorismo e la “guerra agli infedeli”, tra cui alcune istruzioni per confezionare ordigni. Tra le fotografie rinvenute, quella di un neonato con una pistola appoggiata sull’addome e un cappello con shahada (la testimonianza di fede con cui i musulmani dichiarano di credere in un solo e unico dio e nel suo profeta Maometto). Segno che il bimbo era già destinato al martirio.

milanotoday

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