Martina Scialdone, l’avvocata delle donne uccisa anche dall’indifferenza

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Martina Scialdone

Martina Scialdone, l’avvocata delle donne uccisa anche dall’indifferenza – Stando alle ricostruzioni degli inquirenti, già all’interno del ristorante Costantino Bonaiuti aveva manifestato comportamenti aggressivi e violenti verso la giovane avvocata.

Aveva scelto di occuparsi di diritto di famiglia, di assistere donne alle prese con separazioni e divorzi e anche, in alcuni casi, con maltrattamenti e violenze. E alla fine Martina Scialdone, avvocata 34enne, è morta per mano di un uomo, Costantino Bonaiuti, 61 anni, che non ha accettato la sua volontà di chiudere la relazione, e che le ha sparato a pochi metri dal ristorante in cui aveva acconsentito a incontrarlo per un incontro chiarificatore.

Un uomo che pochi minuti prima, stando a quanto riferito da alcuni testimoni, le aveva urlato contro, l’aveva inseguita in bagno picchiando sulla porta per farla uscire e aveva manifestato un comportamento aggressivo. Che non ha però provocato reazioni da parte di chi ha assistito.

I tentativi, caduti nel vuoto, di sfuggire alla violenza

I gestori del ristorante Brado, accusati nelle ultime ore di non avere fatto nulla per tenere al sicuro Scialdone e di avere anzi invitato lei e l’ex compagno a lasciare il locale visti i toni molto accesi del confronto, hanno smentito: non l’hanno allontanata, ma le hanno chiesto se avesse bisogno di aiuto e lei li avrebbe tranquillizzati, uscendo poi di sua volontà dal locale. Alcune persone hanno riferito agli inquirenti che la giovane professionista avrebbe anche cercato di segnalare la situazione a un cameriere, che non avrebbe però colto la richiesta di aiuto.

Resta il fatto che, salvo emergano versioni differenti nelle prossime ore, nessuno all’interno del ristorante ha comunque, effettivamente, ritenuto opportuno intervenire e dare supporto concreto a Scialdone durante la lite con l’ex compagno. Con tutta probabilità per una questione di riserbo, forse per pregiudizi radicati legati al non immischiarsi in quello che a prima vista poteva sembrare un “litigio tra innamorati o ex innamorati”, e che era invece tutto tranne che questo. Era invece prevaricazione e violenza, prima verbale, poi sfociata in quella fisica nel peggiore degli epiloghi.

“Martina conosceva bene la violenza di genere per lavoro”

La morte di Martina Scialdone non si limita dunque a rinfocolare il dibattito sulla piaga dei femminicidi e della violenza di genere, ma punta i fari anche sull’aspetto sociale e di percezione di un male che non fa distinzioni e colpisce indiscriminatamente, anche chi di violenza di genere si occupa quotidianamente, per lavoro. Anche chi ci si immagina possa essere in grado di riconoscere segnali allarmanti o preoccupanti: “Martina, per il suo lavoro, si trovava spesso anche di fronte a casi di maltrattamenti da parte di compagni e mariti – ha confermato il collega dello studio dei Parioli in cui la 34enne lavorava, Giulio Micioni – era un argomento che conosceva bene dal punto di vista professionale. Invece le è toccato subirlo nella maniera più atroce anche nel privato. Nessuno si aspettava una cosa del genere”.

La giovane avvocata, che viveva con l’anziana madre in zona Furio Camillo, è morta tra le braccia del fratello, accorso in viale Amelia dopo avere ricevuto alcune telefonate in cui lei stessa gli spiegava cosa stava accadendo: l’incontro per cena al ristorante Brado, la discussione degenerata in lite dai toni sempre più accesi, le fughe in bagno della 34enne per cercare rifugio, il comportamento sempre più aggressivo di Bonaiuti, che una volta uscito dal locale l’ha aspettata. Quando anche lei, alla fine, è uscita, il dramma: pochi minuti dopo le 23 l’uomo, che a casa aveva quattro pistole regolarmente detenute per “tiro sportivo”, ha fatto fuoco, togliendole la vita. Un colpo in pieno petto, sparato a bruciapelo, che non le ha lasciato scampo.

“Scusaci Martina”, i biglietti degli amici e l’allarme delle associazioni

Nelle ultime ore davanti al ristorante di viale Amelia sono comparsi mazzi di fiori e biglietti per ricordare la giovane donna uccisa, foglietti di carta lasciati anche da amici che le chiedono scusa. Scusa per non essersi accorti della situazione che stava vivendo, e per non avere riconosciuto o avverito segnali preoccupanti o d’allarme. Ed è anche su questo, sulla mancanza di una sensibilizzazione su un tema così grave a livello generale e costante, e non nei singoli ed estremi casi, che insistono le associazioni rivolgendosi in primis a politica e istituzioni.

“Un altro femminicidio a Roma che deve portare le istituzioni a comprendere quanto sia grave la situazione della violenza maschile contro le donne – è stato il duro commento di Elisa Ercoli, presidente dell’associazione romana Differenza Donna – vogliamo chiarire e urlare che la reazione politica istituzionale ai femminicidi e all’esposizione ad un rischio grave di vita per le donne in Italia, non è solo ‘un punto delle agende’: è il problema che dovrebbe togliere sonno a chiunque abbia responsabilità politica e istituzionale. Vogliamo dichiarare in maniera forte che la mancanza di reazioni adeguate alle proporzioni di questo enorme problema è la conseguenza diretta di stereotipi e pregiudizi che minimizzano e banalizzano la gravità della violenza maschile”.

romatoday

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