Il multiculturalismo ha fallito perché è diventato una vera e propria ideologia dell’estremismo
Pubblicato il 21 Gennaio 2011
Dal suo ultimo libro “L’inganno – Vittime del multiculturalismo”, la Sbai individua nella condizione delle donne musulmane residenti in Occidente il segno del fallimento della “società multiculturale”, fondata sulla retorica del politicamente corretto e su un relativismo culturale che, in alcuni casi, porta persino a giustificare delle deroghe alle libertà e ai diritti alla base della nostra democrazia occidentale. Ne abbiamo discusso con l’autrice del libro, cercando di capire le caratteristiche di questo fenomeno e il modo attraverso cui ripartire nel processo di integrazione tra le diverse culture.
Partiamo dal titolo del suo libro. Qual è l’inganno e chi sono le vittime del multiculturalismo?
L’inganno sta nel relativismo cieco e nichilista che ha preso piede in Europa, quello in base al quale l’infibulazione e il burqa vengono considerati elementi culturali da rispettare e le moschee possono essere costruite a prescindere dai regolamenti e dalle norme del nostro paese. Questo accade perché si è radicata l’idea secondo cui tutte le culture vanno accettate a priori, senza valutarne i principi e, soprattutto, senza considerare se tali principi si conciliano con quelli europei e occidentali. A fare le spese di questo multiculturalismo relativista sono specialmente le donne islamiche, le prime vittime dell’avanzata estremista che noi, con la nostra pigrizia e la nostra accondiscendenza, non stiamo arginando ma piuttosto assecondando.
Perché il multiculturalismo ha fallito?
Ha fallito perché la parola multiculturalismo, inizialmente usata per indicare l’esistenza di una molteplicità di culture, è diventata una vera e propria ideologia sinonimo di relativismo, come se ogni dimensione culturale, ogni stile di vita, ogni valore possano essere considerati e posti sullo stesso piano. Non è vero che le culture sono tutte ugualmente valide. Ne esistono alcune dove la parità tra uomo e donna e la dignità dell’individuo, solo per fare alcuni esempi, sono valori praticati e principi universalmente riconosciuti. E ne esistono, invece, altre dove questi fondamenti di civiltà non sono nemmeno contemplati.
Qual è, quindi, il modello di integrazione culturale e sociale da mettere in pratica?
Un modello chiaro, incentrato sul rispetto delle regole e delle tradizioni del nostro paese. Chi arriva in Italia deve imparare la lingua, conoscere i diritti e doveri previsti dal nostro ordinamento, cominciare a rispettare la nostra realtà. Non siamo noi a dover cambiare la nostra cultura, è chi decide di venire a vivere in Italia che deve adeguarsi al nostro modello. L’integrazione è possibile solo tramite un’assimilazione ai valori e ai principi di rispetto e tutela della dignità dell’uomo, che sono i punti cardine della cultura occidentale.
In che termini si può parlare di un “diritto all’identità culturale”?
Questo diritto esiste per tutti, ma il problema italiano ed europeo sta nell’insensato giustificazionismo culturale che ha portato noi ad adeguarci alle altre culture e non viceversa. Faccio un esempio: un tribunale toscano ha deciso di pronunciarsi positivamente assecondando il fatto che una ragazza maghrebina mettesse le cuffie in classe durante l’ora di educazione musicale, visto che in quella cultura è proibito ascoltare la musica degli “infedeli”. Per non parlare di tutte quelle pronunce che, attraverso la cosiddetta “attenuante culturale”, arrivano a giustificare persino la violenza nei confronti delle donne. Insomma, il diritto all’identità culturale esiste per tutti, ma non può implicare una modifica dei principi su cui si fonda la nostra cultura.
Entriamo nel vivo della tematica che le sta più a cuore: la condizione femminile. Nel suo libro, a un certo punto, dice che “le donne dell’Islam sembrano quasi incarnare il dialogo sofferto tra tradizione e modernità”. Ci spieghi meglio cosa intende…
Le donne islamiche arrivano in Occidente con tanta speranza, alla ricerca di una modernità naturale, di un’integrazione e di un’autodeterminazione che oggi, però, vengono impedite dal fondamentalismo e dall’estremismo diffusi in tutta Europa. Paradossalmente, pur entrando a far parte di una società dei diritti e delle libertà, queste donne restano prigioniere dell’ignoranza e dei rigidi precetti della tradizione, spesso anche più di quanto non accada a quelle che invece restano nel loro paese d’origine. Ad esempio, in Marocco le donne sono state obbligate a vivere un processo di integrazione e di alfabetizzazione, che c’è stato negli ultimi anni per paura dell’estremismo, mentre quelle che sono emigrate da noi non hanno visto alcun miglioramento nella loro situazione. Pensi che qui, in Italia, ho conosciuto delle donne di tradizione islamica che non sapevano neanche l’indirizzo dove abitavano. Vivono nella modernità e, tuttavia, sono costrette a vivere come dei fantasmi velati, maltrattate e senza diritti.
Di chi è la responsabilità di tutto questo?
Credo che la responsabilità sia di tutti noi, della società ma anche della politica, che deve intervenire al livello normativo per evitare l’isolamento totale delle musulmane e per permettere loro di vivere come esseri umani. Finora, il buonismo e l’accondiscendenza con cui è stata affrontata la questione non hanno fatto che aggravare la condizione di queste donne.
Cosa si può fare in concreto per toglierle dalla terribile situazione in cui si trovano?
Bisogna stabilire, prima di tutto, delle regole chiare, come quella che nel nostro paese non si possano segregare e maltrattare le donne, che si debba garantire loro il diritto di imparare la lingua e di partecipare alla vita sociale, economica e culturale del paese. Una donna con il burqa che possibilità ha di integrarsi nella società e di avere una propria vita lavorativa? Nessuna. Ed è esattamente questo che vogliono gli estremisti: isolare totalmente la donna, bloccare la sua emancipazione. Bisogna impedirlo e, per farlo, nel rispetto della tutela dell’identità culturale, è necessario però riaffermare con chiarezza le norme e i principi della nostra cultura, ai quali le altre tradizioni devono adeguarsi.
Da parlamentare quali iniziative sta portando avanti in questo senso?
Mi sto impegnando molto sul tema della cittadinanza, che ritengo davvero importante perché riguarda la seconda generazione di immigrati e quindi anche il futuro del nostro paese. A tal proposito, ho fatto una proposta di legge sulla cittadinanza, opposta da chi propone criteri di acquisizione dalla nascita, mentre io ritengo più opportuno che i ragazzi frequentino almeno le scuole obbligatorie e poi a 16-18 anni possano cominciare il percorso per diventare italiani. Noi abbiamo tutto l’interesse ad integrare queste persone, a farle sentire italiane per evitare il verificarsi di fenomeni di malessere come quelli avvenuti nelle banlieux in Francia.
Secondo lei l’islam è compatibile con il nostro modello di democrazia occidentale?
L’unico fenomeno che non è compatibile né con il nostro modello né con nessun altra cultura e civiltà è l’estremismo. L’islam moderato, che non ha nulla a che vedere con il radicalismo talebano, è una religione come le altre, che può essere vissuta come fatto privato senza condizionare la politica e la vita sociale del nostro paese. La questione non è tanto legata all’islam in sé, quanto piuttosto alla diversità tra l’approccio moderato e quello fondamentalista. Oltretutto, il fatto che l’Europa abbia smarrito le proprie radici culturali e religiose ha facilitato l’avanzata dell’estremismo islamico, permettendogli di acquisire forza all’interno della nostra società.
Come si contrasta, quindi, l’inganno multiculturalista?
Attraverso una fermezza totale, mettendo da parte il falso buonismo e il giustificazionismo. La libertà religiosa e il diritto all’identità culturale vanno tutelati, ma a delle condizioni però. E queste condizioni le dobbiamo porre noi, non gli estremisti. Non dobbiamo avere paura e dobbiamo far capire alla seconda generazione di immigrati che l’integrazione si ottiene attraverso il rispetto della cultura del paese dove si vive.