Per il pm pestare la moglie è “un fatto culturale”. E il giudice assolve il bengalese

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Per il pm pestare la moglie è “un fatto culturale“. E il giudice assolve il bengalese –  A settembre il pm aveva descritto il comportamento dell’uomo come “frutto del suo impianto culturale”. L’avvocato della moglie: “Le donne non denunceranno più”.

Il Tribunale di Brescia ha assolto Hasan Mb Imrul, il cittadino bengalese finito a processo per maltrattamenti ai danni della ex moglie 27enne, sua connazionale e cugina sposata in patria con un matrimonio combinato dopo la morte dello zio. Secondo il giudice, “il fatto non sussiste“. Il caso era finito al centro dell’attenzione mediatica già a settembre, quando il pm Antonio Bassolino aveva sostenuto che il comportamento dell’uomo era “frutto dell’impianto culturale e non della volontà di annichilire svilire la coniuge”.

Fonti legali hanno riferito che, prima dell’udienza di martedì 17 ottobre, il pubblico ministero ha cambiato la formula con cui ha chiesto l’assoluzione dell’uomo da “perché il fatto non costituisce reato per mancanza dell’aspetto soggettivo” a “perché il fatto non sussiste“. Una decisione, questa, che ha fatto passare in secondo piano le parole sugli aspetti culturali che avevano scatenato la polemica e che avevano spinto il procuratore capo Francesco Prete a dissociarsi dal suo sostituto, perché “in base alle norme del codice di procedura penale, non possono essere attribuite all’ufficio nella sua interezza

Ancora violenza senza tutela. Le donne maltrattate non denunceranno più”, ha commentato l’avvocato Valeria Guerrisi, difensore della donna vittima per anni di soprusi fisici e psicologici. Già al tempo della dichiarazione choc del pubblico ministero, la 27enne bengalese aveva espresso tutto il suo sconcerto. La donna, infatti, aveva trovato il coraggio di sporgere denuncia “solo nel 2019, dopo anni di urlainsulti e botte, sotto la costante minaccia di essere riportata in Bangladesh definitivamente”. L’ex marito l’aveva anche costretta ad abbandonare gli studi superiori dopo la maternità e a restare segregata in casa.

Le parole messe nero su bianco dal pm le attribuivano una sorta di colpa, poiché la donna, nata e cresciuta nel nostro Paese, aveva “inizialmente accettato” i valori di cui l’uomo “si era fatto fieramente latore”, per poi giudicarli “intollerabili perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono”. L’ex marito, invece, secondo Antonio Bassolino, non intendeva “annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima”, ma era anch’egli vittima del contesto culturale in cui è stato allevato, dove è ben radicata la disparità tra uomo e donna.

Nel caso era intervenuta anche la capogruppo di Alleanza verdi e sinistra alla Camera Luana Zanella: “Se non vogliamo tornare al delitto d’onore sarà bene che i magistrati impegnati nel contrasto alla violenza sulle donne facciano stage obbligatori nei centri antiviolenza. Chiederò alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio (di cui è segretario, ndr) di fare una proposta in tal senso“.

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