Arriva il divieto di vendere o affittare casa se non è green

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Arriva il divieto di vendere o affittare casa se non è green

La Commissione Ue vaglia l’obbligo di abbandonare la classe energetica G per poter mettere un immobile sul mercato. Novità anche sull’Ape.

Un po’ di anni fa, in Spagna, c’era uno spot tv in stile Pubblicità Progresso che diceva: «Risparmia energia. Anche se puoi permetterti di sprecarla, il Paese non può». Ecco, la Commissione europea rispolvera questo principio. Solo che non lo fa sotto forma di consiglio o di raccomandazione ma come una vera e propria imposizione: risparmia energia o non guadagnerai più un centesimo dal tuo immobile. Che significa? Che arriva il divieto di vendere o affittare casa se non è green: o l’edificio ha una certa classe energetica oppure non sarà possibile metterlo sul mercato.

Il Governo comunitario vuole prendere sul serio gli impegni presi nella lotta al cambiamento climatico, per non sentirsi più dire che su questo fronte fa solo «bla, bla, bla». Allo scopo di raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2, chiede che al 1° gennaio 2030 tutti gli immobili residenziali da costruire o da ristrutturare abbiano abbandonato la classe G (la più scadente) e siano passati alla classe F. Non solo: entro il 2033 dovranno essere di classe E. Altrimenti? Altrimenti il proprietario si tiene la sua casa, perché gli sarà vietato venderla o affittarla se non è green.

Di tanto si discuterà a partire dai prossimi giorni a Bruxelles, come anticipa oggi il Corriere.it, nell’ambito della revisione della direttiva Ue sul rendimento energetico dell’edilizia. Il concetto che la Commissione vuol far passare è che gli edifici residenziali non possono essere esclusi dal programma di riduzione delle emissioni. E non solo gli immobili destinati ad abitazione: la bozza del documento che il Collegio dei commissari europei comincerà a vagliare dal 14 dicembre pretende che siano gli edifici pubblici a dare il buon esempio. Quindi, passaggio alla classe F entro il 2027 e alla classe E prima del 2030.

Se la bozza verrà confermata, ci saranno anche delle novità sull’Ape energetica, cioè sull’attestazione di efficienza degli edifici. Il provvedimento europeo la vorrà più stringente a partire dal 31 dicembre 2015: da quella data, il certificato dovrà seguire un determinato modello comunitario prestabilito per tutti gli Stati membri. Il che significa che ogni Paese non potrà più adeguare il modello a seconda delle proprie esigenze.

L’attestazione sarà obbligatoria per tutti gli edifici e gli immobili costruiti, venduti, ristrutturati o affittati, anche in caso di rinnovo del contratto di locazione (vincolo finora inesistente). In altre parole: chi avrà una casa di classe energetica G non potrà metterla in vendita o in affitto, a meno che non faccia degli interventi per fare un salto di classe. Resteranno fuori da quest’obbligo gli edifici storici, e quelli dedicati al culto, protetti ufficialmente, temporanei o inferiori a 50 metri quadri.

Di istinto, viene da dire almeno due cose. La prima: le intenzioni della Commissione europea sono, sulla carta, un motivo in più per aderire al superbonus 110% o ad altre agevolazioni fiscali che consentono il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici. Perché se è vero che, nel caso in cui la bozza venga approvata, mancano ancora otto anni per adeguarsi, è altrettanto vero che il superbonus ha vita più breve. Per ora, è stato prorogato fino a tutto il 2023. Se per qualche malaugurato motivo non venisse più rinnovato, chi vuole vendere o affittare una casa che oggi è di classe G dovrà fare dei lavori completamente di tasca sua, senza poter recuperare tutto ciò che oggi offre lo Stato in termini di detrazioni.

La seconda considerazione è, in realtà, una domanda: chi pagherà quest’operazione volta a far diventare le nostre case più green? La direttiva europea dovrebbe concedere ai singoli Stati degli incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati, così come oggi l’Italia fa con il superbonus. I governi possono anche utilizzare altri fondi a loro disposizione. Il problema è che la lotta alle emissioni di CO2 prevede tanti altri interventi non solo sull’edilizia ma anche sui trasporti. In altre parole: il timore sempre più diffuso è che il costo di tutto ciò ricada su imprese e famiglie. Il che scatenerebbe una reazione di sicuro poco piacevole.

Laleggepertutti

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