I nemici dell’Algeria sono Bouteflika e i Fratelli Musulmani

6 mins read
algeria

“Fino a quando durerà?”, domanda una donna algerina a un giovane manifestante. “Tutti i venerdì, finché non andrà via”: una risposta che offre tutta la portata della determinazione delle centinaia di migliaia di persone che venerdì 15 marzo hanno affollato le strade di Algeri per dire un secco “no” agli imbrogli dei militari e del clan che agisce attraverso Bouteflika e per ribadire la loro voglia di riforme e cambiamento in senso democratico.

D’imbroglio, peraltro malcelato, sapeva infatti la rinuncia del vecchio e inabile presidente a candidarsi per un quinto mandato, rinviando a data da destinarsi le elezioni previste il 18 aprile così da restare al potere e sovrintendere all’annunciata tabella di marcia per un processo di transizione da completarsi entro il 2020, salvo posticipazioni naturalmente. Con ciò l’establishment cerca di prendere tempo per mantenere le redini della situazione, con l’auspicio di riuscire a far scemare l’ardore della protesta con il passare delle settimane e dei mesi fino al suo esaurimento.

La promozione a capo dell’esecutivo del ministro dell’interno, Noureddine Bedoui, già fautore di provvedimenti restrittivi della libertà di manifestare, rivela il vero scopo del nuovo governo di tecnocrati che sta per nascere. In teoria, tale governo dovrebbe presupporre alla formazione di una conferenza nazionale “inclusiva”, incaricata di elaborare una nuova costituzione da sottoporre all’approvazione di un referendum, dopo il quale nuove elezioni presidenziali potranno essere svolte. Il popolo algerino, tuttavia, fa bene a rifiutare una transizione la cui regia resti nelle mani dell’establishment, mantenendo saldo l’obiettivo di “un cambiamento radicale, non di un cambiamento di marionette”, il che vuole dire la fine totale dell’era Bouteflika, entourage e relativo sistema di potere compresi.

Il muro contro muro degli algerini contro l’ancien regime ha assunto una dimensione internazionale, coinvolgendo anche la Francia. “Macron, occupati dei gilet gialli”, riportava uno dei tanti manifesti contro il presidente francese, accusato di sostenere il regime dell’Algeria dopo aver “salutato la decisione del presidente Bouteflika”, invocando “una transizione dalla durata ragionevole”. Fln = La rete lobbistica della Francia”, denunciava un altro manifesto.

D’altro canto, le ragioni degli algerini si scontrano non solo con Bouteflika e i suoi protettori esterni, ma con i limiti intrinseci della protesta. Al pari delle rivolte del 2011, quelle della cosiddetta Primavera Araba, il movimento anti-Bouteflika è privo di un’organizzazione coerente in grado di costituire una vera alternativa come classe dirigente a quella attuale e di esprimere una leadership autorevole che rappresenti e guidi l’opposizione nella contrapposizione al regime. Tali limiti possono risultare essere fatali se ad essi non viene posto rimedio, mentre il regime fa leva su di essi per gestire la crisi come fosse una nuvola sì grossa ma passeggera.

Le speranze dei tanti giovani algerini che animano da oltre un mese la protesta rischiano pertanto di rimanere deluse, sebbene all’orizzonte si profilino scenari anche peggiori. Lanciando la tabella di marcia per la transizione Bouteflika sembra essersi rivolto non ai manifestanti, bensì al Movimento della Società per la Pace (Msp), il partito dei Fratelli Musulmani in Algeria che spinge per acquisire un ruolo politico di primo piano e con cui il regime avrebbe raggiunto un’intesa per una riconfigurazione degli equilibri interni già alla fine del 2018.

Il tempo del compromesso che aveva posto fine alla guerra civile nel 2002 è scaduto e la Fratellanza reclama ora maggiori fette di potere. Per assorbire l’urto delle proteste e ristabilire condizioni di normalità, i militari e il clan di Bouteflika potrebbero quindi saziare la fame di poltrone ministeriali da parte dei Fratelli Musulmani, aprendo loro le porte delle istituzioni in quanto principale partito d’opposizione. Il leader dell’Msp, Abderrazak Makri, si vede già nei panni di primo ministro collocare l’Algeria nel campo regionale islamista sotto l’egida di Qatar e Turchia.

Ma l’Algeria non merita di passare dall’ancien regime ad un regime islamiste. Non è certo questo il cambiamento per il quale gli algerini continuano a sfidare un regime dispotico e corrotto, che pur di salvarsi è disposto a lasciare sempre più spazio all’agenda fondamentalista dei Fratelli Musulmani, nella compiacente indifferenza della Francia e del resto d’Europa, Italia inclusa.

di Souad Sbai per L’Opinione delle Libertà

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Latest from Blog