L’inefficienza e l’inerzia paralizzano il Paese. Il Prof. Cassese ha ragione ma è timido nel denunciare gli errori della politica

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Ha certamente ragione Sabino Cassese quando scrive che in Italia “le opere pubbliche sono bloccate da un “labirinto di norme” e l’Autorità antitrust propone di sospendere il codice dei contratti e di applicare direttamente le direttive europee”. Come hanno fatto gli inglesi, che si sono limitati a tradurre nella loro lingua il testo delle direttive. Mentre noi abbiamo scritto un Codice di oltre 200 articoli irti di codicilli.

Ha certamente ragione, anche perché una critica del genere risale nel tempo, a Camillo Benso di Cavour che nel 1852, in avvio del più grande piano di investimenti infrastrutturali necessari per modernizzare il Piemonte, come prima cosa promuove la riforma dell’amministrazione. Definisce le attribuzioni, elimina le strutture che non erano affidate alla responsabilità politica di un ministro (le agenzie) e semplifica le procedure in un contesto di legalità e di efficienza. Tanto che, unitamente alla riforma dei procedimenti propone il potenziamento dei controlli con la creazione della Corte dei conti, in sostituzione dell’antica e prestigiosa Camera dei conti, che il Regno di Sardegna aveva ereditato dal Ducato di Savoia.

E allora, mi chiedo, se “a paralizzare il Paese” è un “labirinto di norme” il Professore dovrebbe rivolgersi a chi quelle norme ha prodotto, alla classe politica che spesso ha affidato la loro stesura ad estranei alla P.A., persone certamente avvezze agli studi ma che, visti i risultati, probabilmente non avevano mai partecipato all’istruttoria di un procedimento ed alla stesura di un decreto. Perché se avessero seguito l’iter procedimentale, dall’atto di iniziativa, di parte o d’ufficio, alla fase istruttoria, a quella decisoria forse si sarebbero accorti che frequentemente vi sono duplicazioni di competenze, concerti non necessari, pareri inutili che allungano i tempi e rendono incerto l’esito delle decisioni, spesso rimettendo al giudice amministrativo la definizione della “pratica”, con anni di ritardo, dimenticando che il tempo è un costo, per la parte che chiede il provvedimento, per l’amministrazione e per la società.

Ebbene, invece di prendersela con la classe politica, il Professore bastona le singole istituzioni, l’Autorità anticorruzione e i sindacati che “si dichiarano subito “nettamente contrari”, scrive, a questa semplificazione”. E si chiede che “se questo non si può modificare, quell’altro non si può fare, com’è possibile governare?” Ed evoca un grande giurista e politologo, Carl Schmitt, solitamente reietto ed accusato di essere il giurista del Nazismo che in questo caso fa comodo perché denunciava le “forze interessate alla conservazione”, segnalando, nel 1931, che “la forza dello status quo in quanto tale è enorme e molto potente”.

Non pensa il Professore Cassese che denuncia una situazione conseguenza della estrema modestia della classe politica, incapace di immaginare una vera riforma della P.A. che non sia una periodica limatina a questa o a quella attribuzione di ministeri ed enti secondo le aspettative del politico di turno che vuole occuparsene? Sicché, ad esempio, il turismo, funzione particolarmente rilevante nell’economia di questo Paese, viene da anni sballottato ed accorpato ora a questo ora a quell’ufficio ministeriale, da ultimo ritornato autonomo. Per non dire dell’assurda assegnazione in via principale alle regioni in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione.

“L’inerzia che paralizza il Paese” è, secondo il Professore, effetto dell’azione dei “titolari del potere di interdizione”, tanti, certamente, troppi, per grazia politica. Ma anche di leggi fatte male e, pertanto, soggette ad interpretazioni spesso contrastanti o sbagliate. Che il legislatore non corregge facendo incancrenire le situazioni nel tempo. Ma questo Cassese non dice e non aiuta a dipanare la matassa, anche per l’assoluta genericità di alcune critiche, come quella, ricorrente, al potere giudiziario, “che confonde indipendenza con immunità, tutela della legittimità con cura della moralità”. Mi chiedo cosa voglia dire un’accusa così formulata. Come per la Corte dei conti, “che scambia il ruolo di guardiano della legalità con quello di guardiano delle proprie prerogative”. Anche qui neppure un esempio. Eppure, non dubito che il Professore, il quale, sappiamo, ama la storia delle istituzioni, abbia letto Cavour che, nella ricordata sessione parlamentare del 1852, aveva affermato essere convinto della “assoluta necessità di concentrale il controllo preventivo e consuntivo in un magistrato inamovibile”. Avrà letto anche il discorso con cui Quintino Sella, Ministro delle finanze, in occasione della inaugurazione della Corte dei conti del Regno d’Italia, il 1° ottobre 1862, aveva invitato i magistrati ad essere rigorosi nel controllo ed, in caso di accertate irregolarità, a darne “contezza” al Parlamento.

Ma, secondo il Professore Cassese, “le principali risorse della Corte sono dedicate al controllo preventivo atto per atto e all’attività giurisdizionale (in particolare, ai giudizi di responsabilità), spesso scimmiottando le procure della Repubblica. Mentre bisognerebbe sopprimere i controlli preventivi (salvo quelli sugli atti del governo)”. Non è esatto. Il preventivo è limitato a pochi atti dall’art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20. E non frena l’azione. Anzi, dà sicurezza al funzionario perché l’atto, senza il visto della Corte, non assume efficacia e, pertanto, quasi mai può essere fonte di danno erariale. Quel che frena, in molti casi, è il controllo successivo perché il funzionario teme che l’atto sia dichiarato illegittimo. È una osservazione di Cavour, secondo il quale “un tale controllo colpisce solo indirettamente gli atti amministrativi quando sono consumati, e nella pratica si mostra insufficiente ad impedire gli abusi, gli inconvenienti che si possono manifestare”.

Fa bene Cassese a ricordare Ferdinando Carbone, un grande Presidente della Corte dei conti, e Vittorio Guccione, per quanto riguarda la relazione della Corte dei conti al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato. Torniamo ancora a Cavour ed a Quintino Sella. E fa bene ad ammettere che “i difensori della conservazione sono tanti e così forti perché la nostra democrazia è disgregata, ha una guida politica mutevole per il continuo passaggio di governi e di forze politiche, è guidata solo per brevi periodi di tempo da veri uomini di Stato”.

Ecco, caro Professore, ripartiamo da qui.

E dagli sprechi, dai “milioni di euro dei contribuenti per finanziare opere pubbliche inutili o troppo costose, oppure per acquistare beni e servizi di cui non ha alcun bisogno”, ricorda Luigi Caso, Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti. E sottolinea che “l’esigenza di impedire un simile spreco è ancor più pressante oggi che si avvicina il momento di dare attuazione al Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, che consentirà al Governo di investire oltre 200 miliardi di euro per il rilancio dell’Italia”.

Ma “Inspiegabilmente”, aggiunge, “da qualche tempo il dibattito interno è concentrato proprio nell’opera di smantellamento dell’azione di quella magistratura che, da oltre 150 anni, combatte per assicurare l’efficace e legittima spendita del pubblico denaro. L’articolo 21, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, ha pesantemente allargato le maglie dell’irresponsabilità dei gestori del denaro pubblico, sollevandoli, fino al 31 dicembre di quest’anno, da qualsiasi responsabilità in caso di gestione colposamente inefficiente delle risorse loro affidate”. Mentre la stampa denuncia lo spreco dei banchi con le rotelle inutilizzati e finiti negli scantinati delle scuole, e delle mascherine comprate a prezzi superiori a quelli di mercato. Contratti stipulati impunemente, senza la minima “paura della firma”.

Soldi buttati che indignano gli italiani perché quel denaro è frutto del loro sudore, delle imposte esose corrisposte dai soliti noti, considerato che l’Agenzia delle entrate denuncia oltre 100 miliardi di evasione annua. Una vergogna!

Quelli che combattono gli sprechi, i magistrati delle Procure contabili, secondo Cassese, opererebbero “spesso scimmiottando le procure della Repubblica”. Non è una critica, sempre ammessa, ma una affermazione immotivata, pertanto una offesa gratuita, una gravissima caduta di stile, che un uomo di scuola dovrebbe sempre evitare. E che ha giustamente indignato il Procuratore Generale della Corte. “Esigo rispetto, scrive Angelo Canale. Per la seconda volta, nel giro di poche settimane, oggi sul Corriere della Sera (1° aprile, n.d.A.) in prima pagina, vengono usati nei confronti dei magistrati del Pubblico Ministero contabile toni pesantemente e gratuitamente offensivi e denigratori. Si sostiene, ancora una volta, che i PM contabili ‘scimmiottano’ i colleghi penali. Si associa poi, sbagliando completamente premesse ed obiettivo, questa considerazione al tema dell’inerzia della PA che blocca il Paese. Nella precedente occasione, solo per la evidente non conoscenza delle attività svolte dalle procure regionali della Corte dei conti, circostanza alla quale ho attribuito la causa della scomposta esternazione, ho ritenuto di non replicare”.

“Ma, forse per una ricerca di visibilità, si torna alla carica. Scompostamente. Non capisco, onestamente, il livore che sembra animare l’autore dell’articolo, ma è evidente che la stessa scelta dei termini (“scimmiottare” è offensivo a prescindere) rivela l’intento denigratorio” aggiunge Canale. E consiglia “prima di esternare giudizi basati sul nulla, di accedere alla banca dati delle sentenze della Corte dei conti, liberamente consultabile sul sito web istituzionale, di leggere e riflettere. I PM contabili, nell’azione di contrasto al malaffare e agli sprechi, sono stati sempre presenti, pur nella limitatezza dei mezzi a disposizione. E hanno tutelato le risorse pubbliche, non difeso prerogative. Meritano per questo il rispetto degli onesti cittadini”.

E, infatti, i “cittadini contribuenti” sono i migliori amici dei magistrati contabili nella convinzione e comunque nella fiducia, che evidentemente non ha il Prof. Cassese, che in qualche modo difendano le loro tasche e recuperino i soldi sprecati da amministratori e funzionari infedeli.

Di Salvatore Sfrecola

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