Maternità surrogata, un business che lede la dignità umana

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Per quanto legittimo, il desiderio di essere genitori non può essere considerato un diritto che consenta la mercificazione del corpo della donna, compromettendone la dignità, e pregiudichi i diritti del bambino

di Maurizio Gasparri

 

Il desiderio naturale di essere genitori, per quanto legittimo, non può essere considerato alla stregua di un diritto esigibile. Essere genitore implica responsabilità di carattere culturale, sociale, etico, finanche antropologico. La decisione di mettere al mondo un figlio si declina quindi con un atto d’amore incondizionato che dura una vita. Tuttavia sta prendendo piede, anche nel nostro paese, la tendenza di ricorrere alla tecnica della surrogazione della maternità all’estero, conosciuta come gestazione per altri, che utilizza il corpo di una donna, estranea al nucleo familiare, al fine di conseguire un progetto di genitorialità. In sintesi: due persone decidono di avere un bambino e si rivolgono a una terza, di sesso femminile, non italiana, per tutta la fase della gestazione fino al parto. Questa pratica anche se viene definita in alcuni casi volontaria, prevede un pagamento alla donna che accetta e si sottopone a interventi mirati, sotto forma di retribuzione o indennizzo. Un processo, aberrante, che rende lecita la mercificazione del corpo a fini procreativi, ledendo principi fondamentali garantiti dalla Costituzione e da trattati internazionali a tutela proprio della donna, nella fase della gestazione e del parto, e dei diritti del bambino. La surrogazione, poi, prevede un contratto anche per l’acquisto di gameti femminili diversi da quelli della donna che si presta all’operazione. Così il bambino avrebbe due madri biologiche: una madre genetica, una gestazionale, e un’altra ancora che può essere la madre legalmente riconosciuta.

Intanto su internet si diffondono notizie, si trovano siti accattivanti, sirene multimediali promettono un figlio a coppie aspiranti a vivere la gioia della genitorialità. È partita così la caccia alla “mamma” in affitto, tant’è che casi sempre più frequenti hanno istillato il sospetto, legittimo, che questa pratica possa aver alimentato il “turismo procreativo”, in paesi particolarmente poveri, dove per pochi soldi, donne spinte dal bisogno, offrono il proprio corpo per far nascere figli di altri. A vantaggio di un business, sul cui percorso è facile imbattersi in zone d’ombra, ravvisate e condannate dall’autorevolezza di organismi e convenzioni internazionali.

Nella passata legislatura ho presentato un’interrogazione parlamentare prendendo spunto da un articolo riportato dalla stampa il 4 marzo 2016, che parlava del sito web “Extraordinary conceptions”, dell’agenzia di San Diego, alla quale avrebbe fatto ricorso anche un ex parlamentare della sinistra italiana. Il servizio giornalistico sottolineava le diverse informazioni che potevano essere attinte al sito: come scegliere una donatrice di ovuli; come scegliere una “surrogata”; come diventare donatrice e come “surrogata”. Tutto segnato da costi altissimi. E ancora: l’articolo sottolineava la possibilità di optare una donna in base agli studi, alla nazionalità, orientamento sessuale, all’età. In caso di malformazione o riduzione fetale, sarebbe stato poi possibile richiedere l’aborto.

Questo fenomeno è una vergogna che sconcerta. Siamo alla scelta di essere umani a catalogo. Se il risultato non è quello desiderato, è possibile sopprimere il feto e riprovare.

Le circostanze richiamano quindi l’impegno civile di ognuno e di chi occupa cariche istituzionali in particolare. Il Parlamento europeo ha condannato la pratica della surrogazione, perché compromette la dignità della donna; la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta di fare del corpo umano fonte di lucro; la Convenzione sui diritti del Fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, obbliga gli Stati ad attuare i diritti riconosciuti ai bambini di non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità e il diritto di essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico.

In Italia, la legge n. 40 del 19 febbraio 2004 condanna il reato di realizzare, organizzare, pubblicizzare o commercializzare gameti, embrioni o la surrogazione di maternità, solo dentro i confini nazionali. Il 25 giugno del 2018, mi sono fatto carico di presentare un disegno di legge di modifica della norma del 2004, per estendere la condanna del reato anche agli italiani che praticano “l’affitto” di utero all’estero.

L’azione politica è stata ispirata al richiamo dei valori cristiani, sui quali si fonda la civiltà occidentale. La scienza offre elementi preziosi per migliorare e allungare la vita. Quando vengono però stravolte le regole naturali, in nome di un malinteso diritto alla genitorialità, allora è necessario richiamare la politica alle proprie responsabilità per evitare degenerazioni che offendono la dignità umana.

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