Nella Cina comunista anche pregare Dio è un atto eversivo

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Nella Cina comunista anche pregare Dio è un atto eversivo – “Inflessibili atei marxisti”. È questo il profilo richiesto dal presidente cinese, Xi Jinping, ai funzionari del Partito comunista. E tutti devono allinearsi a questa dottrina, anche i cittadini a cui sono negati i diritti fondamentali, tra cui quello di professare liberamente la propria fede. E dunque: cristiani, musulmani, buddisti, taoisti, attivisti per i diritti umani e soggetti considerati a vario titolo antigovernativi, ogni giorno rischiano il carcere (se non la morte) se il Partito decide che le loro preghiere, pensieri e atteggiamenti sono atti eversivi.

Secondo l’ultimo rapporto della Fondazione Acs (Aiuto alla chiesa che soffre), “La libertà religiosa è violata in quasi un terzo dei Paesi del mondo (31,6%), dove vivono circa due terzi della popolazione mondiale; 62 Paesi su un totale di 196 registrano violazioni molto gravi della libertà religiosa. Il numero di persone che vivono in questi Paesi sfiora i 5,2 miliardi, poiché tra i peggiori trasgressori vi sono alcune delle nazioni più popolose del mondo: Cina, India, Pakistan, Bangladesh e Nigeria”.

La più grande dittatura comunista esistente, dunque, negli anni, attraverso leggi e regolamenti, ha intensificato la repressione ai danni di tutte le minoranze, anche quelle religiose. Nel report di Acs si legge ancora: “La repressione antireligiosa in Cina assume molte forme e prende di mira molti gruppi. Le violazioni più eclatanti della libertà religiosa sono quelle compiute contro gli uiguri e le altre comunità prevalentemente musulmane della regione autonoma dello Xinjiang (chiamato anche Xinjiang uiguro), dove le atrocità hanno raggiunto una tale portata che un numero crescente di esperti le descrive come un vero e proprio genocidio. La repressione ha incluso l’incarcerazione di un numero compreso tra 900 mila e 1,8 milioni di uiguri, kazaki, kirghisi e membri di altre comunità islamiche in oltre 1.300 campi di concentramento14. I civili sono stati arrestati e confinati nei campi in seguito ad espressioni pubbliche della propria religiosità, come il portare la barba lunga, il rifiutarsi di bere alcolici, o l’impegnarsi in comportamenti che le autorità definiscono come segni di ‘estremismo religioso’”.

E alle altre religioni non va meglio: in Tibet il Buddismo continua ad essere preso di mira e oppresso; “I cristiani, sia cattolici che protestanti – denuncia Acs – non sono stati risparmiati, e hanno dovuto affrontare gravi violazioni della libertà religiosa. Migliaia di croci sono state abbattute, molte chiese distrutte o chiuse e diversi membri del clero cristiano sono stati incarcerati. Nel novembre 2019, 500 leader delle Chiese domestiche hanno firmato una dichiarazione in cui si afferma che «le autorità hanno rimosso le croci dagli edifici, costretto le chiese ad appendere la bandiera cinese e a cantare canzoni patriottiche, e hanno vietato ai minori di frequentare le cerimonie religiose”.

Insomma, una vera e propria persecuzione che riguarda anche i cittadini, controllati da telecamere presenti in tutta la Cina. Si stima che il Partito comunista abbia disseminato 626 milioni di telecamere contro i dissidenti. Scanner altamente sofisticati che controllano i comportamenti di tutti, premiando i buoni e punendo i cattivi. Davanti a tutto questo, l’Europa e il nostro Paese hanno fatto un passo indietro rispetto alla violazione dei diritti umani e il totale disprezzo della democrazia, in nome del Dio denaro.

I rapporti con la Cina, soprattutto da parte di certi partiti di sinistra e movimenti italiani, negli anni sono stati a dir poco equivoci. Forse in pochi ricordano le visite top secret di Beppe Grillo a novembre 2019 nella sede dell’ambasciata cinese a Roma: due nel giro di 24 ore, che scatenarono una vera e propria polemica. Il capo del M5S ai tempi ironizzò spiegando di aver portato il pesto al diplomatico. Ma c’era (e c’è) davvero poco da ironizzare.

Adesso, però, qualcosa forse si sta muovendo. Il 4 maggio, la Commissione europea ha sospeso i suoi sforzi per far ratificare dagli Stati membri e dal Parlamento l’accordo di investimento concluso alla fine del 2020 Pechino, ritenendo l’ambiente politico inadeguato. E l’Onu ha organizzato una conferenza per discutere proprio la situazione degli uiguri, su cui si parla di vero e proprio genocidio. Ma da Pechino è prontamente arrivata la richiesta di annullare la riunione ritenuta “basata su menzogne”.

Di Souad Sbai

Giornalista ed ex parlamentare

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