Adesso passiamo ai fatti

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Si è svolto in questi giorni a Parigi un grande forum sulla parità di genere. Una tavola rotonda intergovernativa, multiculturale, trasversale nelle componenti e nelle competenze. Sei i focus on line e off line, che Dire Donna Oggi ha seguito e a cui abbiamo partecipato: Violenza di genere, Giustizia e diritti economici, Autonomia fisica e salute e diritti sessuali e riproduttivi, Azione femminista per la giustizia climatica, Tecnologia e innovazione per la parità di genere, Movimenti femministi e leadership.

Tematiche attuali e sulle principali agende di tutti i leader del mondo, anche un po’ troppo, forse. Perché se la pandemia ha messo in evidenza uno sviluppo malato e insostenibile e ha spalancato le porte della violenza domestica, prolungata e aggravata dal lockdown, dello smart working che ricade faticosamente sulle donne e sulle mamme, quando, nel migliore dei casi, un lavoro c’è , è pur vero che il gender gap è un argomento molto cavalcato ultimamente. Sulla superficie si moltiplicano le iniziative e i progetti per accelerare l’uguaglianza di genere: l’Onu ha fissato l’obiettivo della parità tra i suoi punti dell’Agenda 2030, legandolo alla creazione di uno sviluppo sostenibile, cioè un mondo equo, inclusivo e corretto nei confronti di tutto e tutti, ambiente e donne comprese. Ma bisogna percorrere ancora molta strada nel quotidiano, lontano dai riflettori dei media e dai facili like dei social. Bisogna ridare senso civico ed educazione alle nostre azioni quotidiane, ripartire dall’educazione e dall’istruzione per poi parlare di empowerment, sradicare mentalità e establishment maschilisti e patriarcali, che ancora affliggono Paesi che si dichiarano sviluppati e moderni. Negli Act for Equal, le piccole e grandi azioni che possiamo fare per raggiungere al più presto la parità, il Forum Di Parigi partiva da un banale esperimento: come viene costruito il carico di lavoro nella tua famiglia? Come sono distribuiti i compiti e i ruoli nella tua casa? Molti di noi sono cresciuti osservando, nelle dinamiche familiari, ruoli fissi, stereotipi, del tipo “la mamma accudisce la casa e i bambini e il papà, in giacca e cravatta, si reca al lavoro”.

Agire per l’uguaglianza significa ridistribuire ruoli nella famiglia e nella società, senza sentirsi addosso la colpa di “sfasciare l’immagine della famiglia tradizionale”, che sono altre le situazioni che sfasciano la famiglia, non di certo educare i figli ad apparecchiare la tavola o ad essere serviti per ultimi. Agire per l’uguaglianza significa infine rendere indipendenti e personali le scelte sessuali. Solo il 55% delle ragazze e delle donne ha la possibilità di prendere decisioni libere in materia di assistenza sanitaria, contraccezione e sessualità. Bisogna rendere chiare nelle donne le condizioni necessarie per essere il motore della ripresa, abbattendo gli ostacoli che impediscono loro di vivere con gioia e senza angoscia la maternità e il ritorno al lavoro, di essere orgogliose delle loro possibilità senza sentirsi in dovere di dimostrare, ma essere portatrici di valori di cui il mondo ha urgentemente bisogno. La filosofa belga degli anni ‘30, Luce Irigaray, icona del femminismo e delle rivendicazioni sessuali della cultura occidentale, madre dell’eco femminismo, sostiene che “per promuovere un mondo nuovo, c’è bisogno di pensiero. Non basta fermarsi a qualche slogan concernente il potere, la soggettività femminile, la politica fra donne eccetera. Si tratta di riflettere su quale contenuto oggettivo si mette dietro gli slogan, e di verificare se questo contenuto si possa condividere e come. Se ogni donna si accontenta di rivendicare il diritto alla propria soggettività, temo che una condivisione pubblica fra le donne non potrà mai esserci” e ancora “Il compito più importante che le donne oggi devono assumere è lavorare alla loro individuazione come persone civili e culturali. La politica, per non dire la democrazia, dovrebbe essere un affare di convivenza civile fra le persone prima di essere un affare di rivalità per il possesso, il potere e la poltrona”.

Di Elena Pompei e Luigia Aristodemo

 

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