Divide et impera – Covid e Ddl Zan. Più attuale di così

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identità

L’Italia s’è desta, anzi no si è bloccata, pietrificata mummificata. Con il massimo rispetto per il poeta dell’Inno Nazionale, la parafrasi nasce spontanea.

Dopo un anno focalizzato su Covid e dintorni, oggi che sembreremmo lontani da quella tragica emergenza, nella comunicazione s’è aperta un’altra finestra: il ddl Zan. Italiani: popolo di malati e di discriminati. E tutto il resto scompare. La televisione, che da decenni ha raggiunto il traguardo delle trasmissioni a colori, improvvisamente sembra aver riservato gli effetti cromatici solo a questi due argomenti. Per il resto possono bastare le cinquanta sfumature di grigio. Vaccinati contro non vaccinati. Un ennesimo modo per dividere e dominare. Una volta erano gli anziani a infettare i giovani, poi furono i giovani ad infettare i nonni, un po’ dopo i colpevoli della trasmissione erano i più piccoli, che a scuola insieme alle merendine si passavano allegramente il pallino spinoso, e introducevano, novelli cavalli di Troia, le bombe virali nelle case popolate da adulti ignari. Dalli all’untore, purché ce ne sia uno. Neanche nei suoi peggiori incubi Manzoni avrebbe potuto immaginare di peggio. Oggi ci sono i vaccinati che odiano i non vaccinati perché portatori di malattia. Full stop. Una campagna terrorizzante ci sta mettendo di nuovo gli uni contro gli altri e poi, come se non bastasse, se comunque, l’intelligenza dovesse avere la meglio e sbaragliare l’animosità sociale, ecco servito il ddl Zan. Un altro modo per renderci invisi gli uni agli altri. E giù discussioni. Io discrimino, tu protesti esso (il ddl) ti riscatta. Apperò.

Libero pensiero: verboten. E se lo esprimi vai a processo. Penale. Si sentiva proprio la mancanza di un altro taglio alla libertà degli individui.  L‘argomento che urla tutta la sua gravità però, sorpresa delle sorprese, non è l’essere umano in tutte le sue sfaccettature fisiche e psicologiche. Non è la famiglia modello classico o evoluto. Il tema, quello vero, è la libertà. Questo ddl introduce un nugolo di sanzioni penali. Come individuare il criminale anti evoluzione, lo spiegano i sapienti cui piace tanto il vessillo ma che annullano il contenuto. Apologia di un manifesto. Esercitando senza sforzo quella capacità di lettura che s’impara fin dalle scuole elementari, è importante esaminare il testo per comprenderne la tanto strombazzata innovatività.  Atti di violenza sanzionati: Tsk, tsk: sono già sanzionati e puniti dalla legge penale vigente, anzi hanno addirittura una corsia preferenziale che supera i tempi e le procedure ordinarie. Alla ricerca dell’innovazione soffolta. Eureka. Caro, antico Archimede fatti pure traslitterare. Il ddl punisce l’istigazione a commettere la discriminazione. L’atto di discriminazione è un modo di trattare in maniera diversa situazioni uguali. Sorry but, anche qui nulla di nuovo: potrà sorprendere, ma la legge Mancino all’art. 604 bis punisce il razzismo, una discriminazione ingiusta. Nessuno stupore: siamo pieni di leggi, decreti e tutto quanto fa regolamento.

Il ddl Zan prescrive però sanzioni penali, non aperitivi al tramonto. Il reato grave e non ancora normato deve pur esserci. Escludendo tutto quello che già è regolamentato, non resta che l’orientamento sessuale o l’identità di genere. Il divieto di compiere una data azione però, dev’essere chiaro e tassativo. Tale è dunque l’aspettativa di chi legge il controverso testo. Non può essere un precetto umorale, aleatorio o personale. Nel momento in cui si minaccia una sanzione è necessario dire con precisione qual è il comportamento che è vietato e bisogna fare in modo di dirlo prima che il fatto criminoso sia commesso, non dopo. Art.1 del ddl, quello delle definizioni, punto D: “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”

Si è di fronte dunque a situazioni che, all’evidenza, sono oggettivamente uguali, ma nella mente hanno una diversa connotazione. Non si dibatte dunque del sesso, ma della percezione che ognuno ha di sé, della propria identità sessuale che può anche essere disgiunta dall’apparenza corporea.

Il mondo mi vede come donna ma io mi sento uomo e voglio essere trattata come uomo. Processi discriminatori a connotazione soggettiva. Non male: elucubrate o genti, elucubrate. La domandona è però come stabilire se il discorso discriminatorio sia o meno un discorso d’odio. Questo dovrebbe essere il compito del giudice. Una quisquilia. Si disegna una figura di giudicante a metà strada tra il mago Merlino con la sua palla di vetro e lo psicologo cui si affida un indagine tutta introspettiva basata su modalità espressive, condotta di vita ante atto, relazioni dell’autore. Si dovrà giudicare un modo di pensare, di essere. Pericolosissimo. Non è contemplabile, nel mondo democratico, l’uso della sanzione penale per criminalizzare un modo di pensare, che istighi l’arma della denuncia penale sul pensiero, sulla libertà.  Si ciancia tanto di libertà di questi o di quelli, di diritti violati e della libertà di ogni essere umano. Signori miei la libertà così ce la giochiamo ai dadi. Se si sgancia l’identità di genere dal corpo, esso non ha più senso. Per le femministe il corpo era della donna che ne poteva fare quel che voleva. Hanno lottato, protestato, manifestato. Qualcuna è morta per questo. Il corpo è il fondamento di ogni diritto. Se l’uomo viene disincarnato e perde il suo aggancio al corpo, il desiderio diventa solo frutto della mente e apre a qualsiasi cosa. Non possiamo permetterlo, come esseri umani. Di qualsiasi genere.

Di Fabiana Gardini

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