Scontri violenti in Tunisia, rischio guerra civile

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Il presidente Saied sospende il Parlamento e liquida il primo ministro Mechichi dopo le violente proteste di domenica originate dalla malagestione della pandemia da parte del governo. Ma dietro le decisioni del presidente c’è l’intenzione di fermare l’espansionismo dei Fratelli Musulmani, la minaccia più grave per le democrazie fragili del Nordafrica. E l’Europa e l’Italia sono chiamate a schierarsi per evitare la guerra civile e ulteriori flussi migratori verso le nostre coste.


Fortissima tensione in Tunisia dopo che, in seguito alle violente proteste di piazza avvenute domenica per protestare contro il governo, ieri il presidente Kais Saied ha sospeso il Parlamento per trenta giorni e licenziato il primo ministro Hichem Mechichi, sostenuto dal partito di maggioranza Ennahda. Davanti all’ingresso del Parlamento si fronteggiano due gruppi contrapposti: da un lato i sostenitori del presidente tunisino Kais Saied, dall’altro quelli del partito islamico Ennhada.

Dopo 10 anni esatti dalla “Rivoluzione dei gelsomini” la Tunisia ripiomba nel caos. Quello che sta accadendo nel Paese nordafricano non può lasciare indifferente l’Italia e l’Europa perché, ancora una volta, sono state disattese le richieste dei cittadini: democrazia, benessere e laicità.

La decisione del presidente Saied di licenziare il Primo Ministro Hichem Mechichi ha tutto il sapore di una lotta contro la galassia della Fratellanza Musulmana. Da una parte lo schieramento del partito islamista Ennahda, guidato da Rashed el Ghannouchi, rientrato in Tunisia dopo anni di esilio durante la presidenza di Ben Alì; dall’altra proprio Saied che si oppone all’espansionismo dei Fratelli Musulmani. Lo dimostra la posizione presa da Ghannouchi che ha definito la decisione del presidente tunisino un colpo di stato.

E nelle piazze, la rivolta nata dalla cattiva gestione della pandemia, con 18mila decessi su un totale di 563.930 contagiati, si è innestata sulla situazione economica del Paese già molto grave, alimentando lo scontro interno. In questo momento, infatti, la Tunisia non ha bisogno di una guerra civile. L’Italia e l’Europa devono esserne consapevoli e lavorare per evitare che questo accada perché in quel caso, migliaia di persone tenterebbero di raggiungere le nostre coste alimentando un flusso che ha già superato i limiti della potenziale accoglienza.

La destabilizzazione della Tunisia attraverso la Primavera araba, così come quella in Libia, hanno prodotto democrazie immature a causa della persistente presenza di movimenti islamisti che ne condizionano lo sviluppo. I Fratelli Musulmani sono presenti nell’intero quadrante nordafricano e ne condizionano, a vario titolo e in diversi modi, la vita sociale e politica. Persino l’attuale governo in Libia, quello nato sotto la supervisione Onu e che dovrebbe condurre il Paese al voto di dicembre, ha al suo interno noti esponenti della Fratellanza.

In Tunisia, però, lo scontro è al momento più acceso e il presidente Saied va verso l’isolamento. La decisione di impedire l’acceso dei politici in Parlamento e la successiva eliminazione dell’immunità, ha scatenato le proteste dei partiti che hanno parlato di atti contrari alla libertà e alla Costituzione. Saranno giorni duri per il Paese e ancora di più per l’Europa che dovrà decidere, finalmente, da che parte stare.

Di Souad Sbai

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