La rivincita di Babbo Natale

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C’era una volta la festa del Natale. Film di Natale, il Natale in famiglia, il presepe e il bambinello, i regali di Natale, l’albero di Natale e le sue luci. C’erano anche gli scettici, quelli che indossavano la maschera della sopportazione, che si scioglievano in lacrime di commozione alla letterina di Natale dei propri bambini.

C’era anche in un antico maniero, al centro della Foresta Nera, una regina triste e severa che odiava il Natale. Ogni volta che vedeva un presepe aveva un attacco d’orticaria, l’albero di Natale le dava la rinite allergica, e ogni volta che qualcuno osava augurarle il buon Natale era colpita da violenti attacchi di mal di testa. Narra la leggenda che già da piccola avesse scambiato le vesti dei pastori del presepe e combinando pasticci vari con barbuti pastori vestiti da pastorelle in preghiera. Qualche giorno prima della notte di Natale, la regina, guardandosi allo specchio si disse che in quanto potente regina poteva togliersi la soddisfazione di abolire il Natale. Basta presepi, alberi, nessun Giuseppe o Maria e bambino Gesù. Basta Buon Natale, e chi non è con me peste lo colga.

Il suo banditore andò in giro per le strade del paese urlando il suo editto, e le guardie reali si assicurarono che nessun albero o presepe fosse esposto in strada. Il maniscalco del paese che ogni Natale girava per le strade in slitta suonando campanelle ed urlando sonori Buon Natale ai passanti fu costretto a bruciare in piazza il suo vestito rosso e venne cacciato dal paese e mandato in esilio. Tutte le tipografie del regno dovettero stampare di nuovo agende e calendari nei quali i giorni delle festività natalizie tornarono al colore nero, quello ordinario dei giorni feriali.

La sera del 24 dicembre la regina si aggirava nelle stanze del suo castello tutta soddisfatta del suo operato. Si accorse però che il castello era deserto. Non un servitore, un maggiordomo, un giullare a tenerle compagnia. Era sola, sola tra le mura del suo immenso maniero. Inquieta cominciò ad urlare i nomi dei suoi servitori, ma poiché nessuno rispondeva si precipitò nelle cucine prima e negli alloggi della servitù poi. Il deserto. Tutti l’avevano abbandonata. All’inizio pensò chissenefrega, farò da me, ma poi le ore passavano e nessuno le portava il pranzo, nessuno accendeva le luci, nessuno aggiungeva ciocchi nei camini. Cominciò ad avere paura. Centinaia di stanze vuote, buie, fredde e lei sola in quell’enorme camera, affamata e senza una luce che le permettesse di raggiungere la dispensa. Cominciò a singhiozzare disperata.

Quando ormai anche le sue lacrime stavano finendo e le dita cominciavano a colorarsi di blu per il freddo, sentì un fruscio provenire da un angolo della camera. Un topolino con un curioso berrettino rosso sul capo sgranocchiava allegramente una bella mollica di parmigiano ed una fetta biscottata. La regina si mise carponi e gli andò vicino cercando di strappargli il cibo. Lesto, nome solo un topino di campagna sa essere, il sorcetto si rifugiò in una crepa del muro.

La regina, dopo alcuni inutili tentativi, cominciò a frignare dapprima lievemente e poi con singhiozzi così forti da far tremare le finestre. Due occhietti la scrutarono dall’anfratto. – Piangi regina? Hai fame? – Disperata la sovrana rispose di sì – se vuoi dividiamo – propose il topino – però io mangerò qui a terra mentre tu dovrai sederti a mangiare al tavolo. Io mangerò facendo rumore mentre tu con coltello e forchetta. Ognuno secondo i propri desideri. E alla fine mi offrirai una coppa di spumante e la berremo insieme, e tu infine brinderai con me al Natale. A quella parola la regina fece un balzo indietro e, con il fuoco negli occhi, gridò che mai e poi mai avrebbe brindato con un topo e per giunta al Natale, che il Natale non esisteva più e quindi non se ne sarebbe fatto nulla. Il topo continuò serenamente a mangiare. La regina stremata dai morsi della fame ricominciò a implorarlo di dividere il formaggio con lei, che magari, forse, ma sì avrebbe brindato con lui a quel che diavolo voleva, l’importante era mangiare. Il topolino uscì dalla tana e le porse la mollica di formaggio. Non appena la regina ebbe tra le man la mollica, questa cominciò a crescere fino a diventare una grande forma di parmigiano che la regina posò sul tavolo perché troppo pesante per lei. Il topolino allora tolse il cappello e cominciò a crescere e a mutare d’aspetto. Gli spuntarono capelli bianchi e barba la pancia divenne bella rotonda ed il suo musetto aguzzo si trasformò nel rubizzo faccione dagli occhi pieni di saggezza. – Tu sei..- la regina quasi si strozzò nel vedere il prodigio. – Babbo Natale, per servirla Maestà. Spero che da oggi smetterà di odiare me e tutti i simboli del Natale, che riuscirà a tollerare con benevolenza Maria Giuseppe, il bambinello e tutto il presepe. Se ora sua maestà sta mangiando infatti è solo per la magia di Natale che ci fa amare il prossimo ed essere più buoni. Se fosse stato un normale giorno di festa, cara regina io avrei continuato a mangiare il mio formaggio e lei sarebbe morta di fame. Oh, vede che in fondo Natale non è coì brutto? Coraggio adesso insieme costruiremo il presepe e monteremo gli addobbi sull’albero: vedrà che non è così brutto -.

La regina annuì ancora un po’ titubante ma, dopo un po’, tra palline festoni e pastori cominciò a divertirsi. Come per magia, appena disposti anche i fili di lucine, la corrente tornò e albero e presepe s’illuminarono a giorno. Uno alla volta ricomparvero tutti gli abitanti del castello. Era bello, tutti sorridevano si abbracciavano e sorridevano, abbracciavano anche la regina che pian pianino cominciò a sorridere ed abbracciare tutti. E, mentre i rintocchi delle campane chiamavano i fedeli alla messa di mezzanotte, la regina si affacciò alla porta del castello e sventolando un festone urlò finalmente contenta Buon Natale, Buon Natale a tutti! -. Stretta la foglia larga la via la tradizione non si mette mai via!

Di Fabiana Gardini

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