Dall’avvocato del popolo al nonno d’Italia “indipendentemente”

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centrodestra draghi - calenda

Il nostro è un grande Paese, se da una parte è culla di un’incomparabile tradizione e cultura non seconda a nessuno in tutti i campi, dall’altra dimostra una fantasia davvero unica a cui non sono esenti anche i Presidenti del Consiglio, i quali ci sorprendono anche con autodefinizioni quanto meno singolari.

Siamo passati dal noto “avvocato del popolo”, come amava chiamarsi Giuseppe Conte quando si trovava a Palazzo Chigi, al “nonno al servizio delle istituzioni” come si è definito, scherzosamente, nella conferenza stampa di fine anno Mario Draghi, dal quale, dato il suo noto aplomb, non mi sarei aspettato un’uscita così, che, peraltro, ho trovato anche simpatica.

Ma da tali innocue definizioni, però, si possono trarre anche approfondimenti interessanti.

Infatti il Presidente grillino, trovatosi a ricoprire dal giorno alla notte un incarico che mai avrebbe pensato di
assumere, è giusto che si sia definito “avvocato”, perché quello era, l’esperienza politica, che necessiterebbero certe posizioni, è ovviamente tutt’altra cosa e, sinceramente, posso comprendere le difficoltà che abbia dovuto affrontare per una funzione istituzionale così importante, oltretutto in uno dei periodi più complicati per il nostro Paese e per il mondo intero.

Una volta si diceva che gli avvocati ed i sindacalisti gettati ex abrupto in politica avevano non poche difficoltà nel capirne a fondo i meccanismi, perché nelle loro normali attività di difesa dei propri clienti o della propria categoria è sempre chiaro chi è l’avversario, mentre in politica ciò lo è molto meno e spesso i ruoli si mescolano e si scombinano. Per cui, pur condividendo ben poco il M5S e l’azione di governo a sua guida, egli ha avuto tutta la mia comprensione, anche se alcune uscite, proprio da un “avvocato”, non me le sarei aspettate, come l’utilizzare il verbo “consentire” nelle note conferenze stampa in pieno lockdown riguardo alle libertà fondamentali garantite dalla nostra Costituzione. Esse, infatti, sono riconosciute dalla Carta ed esistono come diritto di ogni cittadino ancor prima della Costituzione stessa, possono essere, certo, limitate per questioni di sicurezza, ma le parole sono importanti, soprattutto per un avvocato, e quel termine
“consentire” non ritengo sia stato giusto usarlo.

Mario Draghi, invece, definendosi “nonno al servizio delle istituzioni” e, soprattutto, affermando che “il Governo andrà avanti indipendentemente da chi ci sarà”, sembra proprio si sia autocandidato alla Presidenza della Repubblica. Gli ultimi inquilini del Quirinale, fatta eccezione di Cossiga, sono stati tutti “nonni”, Mattarella è salito al Colle a 74 anni, Ciampi a 78 anni, Scalfaro a 74 anni, Pertini ad 81 anni, ma recordman è stato Napolitano che ha assunto il secondo mandato a 87 anni.
Il quesito è, Draghi al Quirinale sarebbe un bene per il Paese? Difficile dirlo e questo non certo per il valore della persona che è indiscutibile, ma per la maturità e la crescita della classe politica. E’ evidente che con il Supermario a palazzo Chigi l’intera classe politica è stata sostanzialmente commissariata, il Parlamento, investito prevalentemente a colpi di fiducia, ha assunto la funzione poco più che notarile, nonostante le giuste rimostranze dell’unica opposizione di Fratelli d’Italia, che non ha visto alcuna possibilità di incidere e far migliorare provvedimenti importanti come il PNRR e, da ultimo, la legge di bilancio, pacchetti arrivati già sostanzialmente chiusi e con tempi di approvazione che rendono impossibili percepibili miglioramenti.

Se Draghi da palazzo Chigi dovesse passare al Quirinale, da un lato avremmo, certo, un grande personaggio
di spessore internazionale rispettato in tutta Europa e non solo, dall’altro, però, avremmo una politica
sostanzialmente commissariata per altri sette anni, dato che sarebbe improbabile che egli si limiterebbe a
tagliare nastri, conferire onorificenze ed andare alla prima alla Scala, così come sarebbe molto difficile che
qualcuno possa contraddirlo. Ci troveremmo, quindi, sostanzialmente, con tutta probabilità, in una Repubblica presidenziale di fatto, senza un passaggio costituzionale, e la classe politica avrebbe serie difficoltà a maturare e crescere.

Sarebbe un bene o un male per il Paese?

Questa complessissima valutazione è nella responsabilità di coloro che sono chiamati ad eleggere il Capo dello Stato, ma forse sarebbe stato meglio che ad eleggerlo fossero stati direttamente i cittadini, ma questa è un’altra storia.

Di Antonfrancesco Venturini

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