Ciriaco De Mita e la parabola democristiana

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Antonfrancesco Venturini

Ciriaco De Mita e la parabola democristiana – Ci ha lasciato un gigante della politica, Ciriaco De Mita, che per amore della propria Nazione e della propria terra non ha avuto alcun dubbio nel servire entrambi fino alla fine non sentendosi certo sminuito nel rivestire il ruolo di Sindaco della piccola cittadina di Nusco, dove era nato, dopo essere stato Segretario della Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio.

Raggiunse l’apice della sua carriera negli anni ’80 quando guidò il Governo composto dal pentapartito(DC- PSI-PRI-PSDI-PLI), che vide la sua fine nel 1989 a seguito di una crisi di governo cagionata dal suo alleato e rivale Bettino Craxi. L’ultimo suo incarico di rilievo nazionale fu la presidenza della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.
La sua sensibilità e lungimiranza politica lo portò ad essere uno dei principali protagonisti di quella stagione della DC che doveva portare alla definizione di un percorso, ispirato da Aldo Moro, di “confronto e rinnovamento”. Percorso che, però, non fu compiuto anche per la ingombrante presenza in Italia del più grande partito comunista europeo.

Sappiamo tutti come andò a finire, tangentopoli spazzò via tutti i grandi partiti di allora e la gloriosa DC nel tempo si spezzò in tanti rivoli, con eredi, alcuni legittimi altri meno, che ancor oggi insistono e confidano nella ricostruzione del partito, che, nella sua grandezza, ormai fa parte della storia, ma ciò che non è solo storia sono i fondamenti culturali di natura sturziana ed ancorati alla dottrina sociale della Chiesa, che, peraltro, nel tempo non sempre sono stati seguiti.

La scomparsa del grande statista ci dà l’occasione proprio di fare il punto attuale su detti fondamenti.
De Mita, in una delle proprie ultime apparizioni in pubblico, ha confermato quanto già affermava nel 1989: “La DC ha un grande peccato: il suo retroterra culturale è il popolarismo di Don Sturzo, ma la nostra gestione del potere è stata in contraddizione con questo insegnamento”.
Ciò in piena continuità rispetto a quanto sostenuto in più occasioni dal Gabriele De Rosa, dal 1979 al 2009 presidente dell’Istituto Luigi Sturzo: “Il nostro impoverimento culturale è semplicemente spaventoso. Non abbiamo più un giornale, non abbiamo una rivista, non abbiano una casa editrice che possa competere con
quelle di sinistra. Si rischia il linciaggio a parlare di bene comune”.

Quanto mai attuali sono queste parole, così come sono ancora attualissimi e mai, in effetti, pienamente realizzati i principi sturziani di uno stato leggero, della valorizzazione degli enti intermedi, della sussidiarietà e della solidarietà, dei fondamenti della dottrina sociale della Chiesa con persona e famiglia al centro dell’azione politica nonché della battaglia vera contro le tre “malebestie” dello statalismo, della partitocrazia e dello sperpero del denaro pubblico.

Oggi si sente la necessità di una politica della morale, ancor prima di una politica del sociale, essendo quella presupposto indispensabile della seconda, con l’insostituibile ancoraggio a quei principi appena esposti. Chi possa portare avanti questo percorso oggi appare solo un grande partito conservatore, non certo di sinistra, vista la deriva relativistica, che raccolga quell’eredità, non di un simbolo scudocrociato, ormai appartenente alla storia di tutti gli italiani e che, sinceramente, non credo possa avere ancor oggi una valenza elettorale,
ma di una cultura e di principi di cui il nostro Paese e tutta l’Europa hanno bisogno.

C’è qualcuno nel panorama politico italiano in grado di guidare questo percorso? Chi ha maggior tela la tessa, ma nella giusta direzione.

Di Antonfrancesco Venturini

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