Aporofobia: la paura del povero

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Aporofobia: la paura del povero
Io non sono razzista ma… Quante volte abbiamo ascoltato questa frase non conclusa, sospesa. Probabilmente da chi crede di non essere razzista ma ha timore dei poveri. Molto peggio. Si chiama aporofobia, parola formata da due termini greci: aporos (senza risorse) e phobos (timore).
Un atteggiamento deplorevole di rifiuto verso gli ultimi della società e ammirazione verso i ricchi.
Purtroppo la disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze non è recente, infatti, da molti secoli, la ricchezza è disuguale. Fin dai tempi degli antichi greci, alcune massime risultavano eloquenti. Per Aristodemo, “un uomo è considerato per ciò che possiede”, per Alceo, invece, “nessun povero è nobile e stimato”.
A partire dalle origini del pensiero occidentale, la povertà è connessa erroneamente alla passività, alla mendicità, all’improduttività. Ciò che è davanti agli occhi di tutti è che la povertà aumenta laddove c’è sfrontata ricchezza.
Se potessimo rappresentare con una foto la condizione in cui vive la popolazione del pianeta, l’immagine che ne deriverebbe sarebbe questa: troppo a pochi e poco a troppi.
Ciò che resta immutabile, rispetto al passato è che la povertà continua ad essere un fenomeno quasi naturale e tendenzialmente immodificabile.
Oggi, più che nel passato, assistiamo a un regresso caratterizzato da un’onnipresente dimenticanza nei confronti dei problemi che riguardano milioni di persone povere che non dispongono di cibo, acqua potabile e medicine. Oltre 250 milioni di bambini non hanno accesso all’istruzione. Sono esseri umani che vivono in zone, dove le guerre,
la miseria e le deprivazioni, rendono estremamente precarie le condizioni di vita.
Ma chi è il povero ? Oggi, il povero è colui che non dispone dei mezzi per vivere una vita dignitosa.
E’ perfettamente visibile, ma passa quasi sempre inosservato, come quando gli individui, sfiniti da destini avversi, diventano statue di vetro e persone inanimate. Il povero è colui che sfida il destino per fuggire da violenze e soprusi, consapevole che non si tratta di un capriccio, né tantomeno di un’avventura. E’ il suo legittimo diritto di difendere la vita.
Oggi, i poveri si trovano in una perenne ricerca di equilibrio e di costruzione della propria identità e integrazione del sé, sono quelli che, non avendo spazi e tempi certi, non dispongono di “spazi e tempi per l’anima”. In questa eterna provvisorietà, in cui l’umanità sta rischiando di perdere l’orientamento, la solidarietà e la comprensione umana diventano necessarie.
L’atto di riconoscimento e di protezione della dignità umana, dovrebbe diventare il fine di ciascuno di noi, per evitare che il povero resti isolato ed estromesso dal contesto sociale. Gli ultimi avvenimenti nelle coste calabresi hanno evidenziato per l’ennesima volta la brutalizzazione delle condizioni di milioni di bambini, donne e uomini, hanno posto in rilievo la condizione delle persone, considerate come merce di scambio e occasioni per facili guadagni. Un individuo che entra in un “territorio straniero” , con la finalità di andare a migliorare la propria condizione, fuggendo da guerre, violenze, fame, malattie, ha il pieno diritto di farlo. E se non abbiamo la sensibilità e la volontà di aiutarlo, dobbiamo sapere che non abbiamo il diritto di negargli di aiutarsi da solo.

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