Dalla Repubblica Islamica dell’Iran ne arriva “un’altra” contro le donne: non possono fare arrampicata. Lo rivela il sito Esplorerweb dedicato al tema.
Nella famosa città di Isfahan, in cui tra l’altro ci sono numerose possibilità di praticare questo sport per donne e uomini, alcuni estremisti islamici hanno creato problemi ed è scoppiato un putiferio, giustificato anche da un imam. Questi ha sostenuto che il fatto che delle donne “si arrampicassero” fosse contro l’islam e le ha accusate di essere delle intruse in quel luogo.
L’organismo “Isfahan Mountaineering Board” ha prima condannato l’intromissione oscurantista e fornito assistenza legale alle donne accusate, poi però il presidente, Mehdi Nasr Esfahani, non ha potuto far altro che vietare la scalata alle sportive. Successivamente ha incontrato l’imam e ha suggerito di creare un luogo adibito all’arrampicata outdoor per sole donne.
Il posto dove è avvenuto l’increscioso fatto, si trova vicino ad un sito di pellegrinaggio e le scalatrici sono state insultate più volte. Sono state persino portate ad avere paura. Lo sport è una cartina di tornasole delle discriminazioni e delle censure che subiscono le donne iraniane.
Un altro recente esempio c’è stato domenica 11 aprile, quando si è giocata la partita di Premier League tra Tottenham e Manchester United ad Enfield, un borgo di Londra. C’era una guardalinee, una donna, Sian Massey – Ellis, che ovviamente indossava un paio di pantaloncini. È giunta notizia che la sua immagine è stata censurata in Iran, perché sarebbe stato “immorale” guardare le gambe nude della giovane. Quando le telecamere avrebbero dovuto inquadrarla o avvicinarsi a lei, sono state trasmesse riprese dall’alto dello stadio o la zona di Londra dove avveniva la partita. Uno dei cronisti (se non altro pare con una vena di ironia) ha persino detto di augurarsi che i telespettatori avessero apprezzato lo “spettacolo geografico”.
Nel 2018, durante il match di Champions League tra Roma e Barcellona, tenutosi nella Capitale italiana, sono arrivati a censurare le mammelle della Lupa che allatta Romolo e Remo. Potremmo continuare a ricordare censure di opere d’arte per compiacere presidenti iraniani in visita.
La Repubblica Islamica ha vietato alle donne praticamente fino al 2019 di andare allo stadio. Non perché ad ayatollah e mullah fosse venuto uno sprazzo di razionalità, ma perché la FIFA aveva minacciato di escludere l’Iran dai Mondiali del 2022, se il divieto non fosse caduto!
Poi, tra i tanti esempi di ciò che subiscono le donne iraniane (che ovviamente va ben oltre a questioni legate allo sport), c’è il “solito” velo obbligatorio, a partire dai 9 anni (la maggior età per le femmine sotto il regime!). Ne sa qualcosa l’avvocato Nasrin Sotoudeh, che nel marzo del 2019 era stata condannata a 33 anni e 148 frustate per “reati” legati al mancato rispetto di questa legge liberticida. Per la Repubblica Islamica è stato “incitamento alla prostituzione”! Da lì, Nasrin ha subito un calvario giudiziario che non si è ancora concluso.
Da una ricerca svolta dallo stesso Majles, l’Assemblea Consultiva Islamica, ovvero il Parlamento iraniano, risulta che il 70% delle donne iraniane è contrario al velo obbligatorio. Ciò vale anche per coloro che sostengono che debba essere e lo porterebbero per libera scelta. Non vorrebbero che lo Stato decidesse al posto delle donne!
Tuttavia la legge (art. 638 del codice penale) continua ad essere la stessa. Nessuna donna (e nemmeno bambina a partire dai 9 anni!) può presentarsi in un luogo pubblico con il capo scoperto. Mostrare solo una ciocca di capelli è “haram”, peccato. È stato inventato un crimine che è quello di essere “mal velate”. Si incorre nella prigione dai dieci giorni ai due mesi e in una sanzione pecuniaria.
Ci sono addirittura dei comitati, ben 27, incaricati di far rispettare l’obbligo del velo. Vengono anche finanziate campagne a questo scopo: ci sono persone pagate per andare per le strade a controllare in pratica come sono vestite le donne! C’è una campagna molto diffusa, chiamata in italiano “di supervisione”, divisa in quattro ambiti: uno serve a controllare se e come le donne sono velate nelle auto (sic!), uno nei centri commerciali e nei negozi, un altro nelle aree ricreative, parchi o luoghi dove si può passeggiare e un altro ancora nel mondo del web. Il motto, come all’inizio della Rivoluzione Islamica del 1979, rimane “O il velo o un colpo in testa”. Quante donne sono state anche picchiate e frustate?
Tuttavia le iraniane continuano a lottare. Il Movimento #MeToo le ha raggiunte, in particolare negli ambienti intellettuali, artistici e femministi, dopo che un pittore, Aydin Aghdashloo, ed un musicista, Mohsen Namjoo, che vive negli Stati Uniti, sono stati accusati di stupro da diverse presunte vittime. Vengono denunciati i molteplici abusi subiti dalle donne nel mondo del lavoro. Abusi di cui quelle che svolgono i lavori più umili e meno istruite, a volte non sono nemmeno consapevoli o non possono denunciarli, perché rischierebbero di essere licenziate. Ovviamente tra l’altro capita che siano le stesse donne abusate a dover mantenere la famiglia.
Le attiviste del #MeToo iraniano si rendono perciò conto che il velo non protegge dalle molestie. Lo ha sottolineato in una recente intervista al Corriere della Sera la scrittrice Mahsa Mohebali, autrice di “Tehran Girl”, la cui protagonista è una segretaria. Nonostante le assurde violazioni dei diritti delle donne, l’Iran fa parte della Commissione ONU che se ne occupa.
Di Alessandra Boga