Pere Aragones, il volto moderato dell’indipendentismo catalano

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Pere Aragones, il volto moderato dell’indipendentismo catalano – E’ il più giovane presidente della Generalitat dal ripristino della democrazia con i suoi 38 anni, ma non ha il mandato popolare per tentare un nuovo divorzio da Madrid

Da quando, nel 1980, fu ricostituito il ‘Parlament’ catalano, la formazione di sinistra indipendentista Ezquerra Republicana (Erc) è sempre stata ago della bilancia delle coalizioni di governo, di volta in volta partner dei socialisti o dell’area secessionista conservatrice che oggi fa capo a Junts per Catalunya (JxCat). E’ però solo con Pere Aragones, con i suoi 38 anni il più giovane presidente della Generalitat dal ripristino della democrazia, che Erc è riuscita a tornare a capo dell’esecutivo regionale, novant’anni dopo l’elezione di Francesc Macia, che di Erc fu uno dei fondatori.

La Catalogna ha ancora una maggioranza indipendentista ma questa volta difficilmente si andrà allo scontro aperto con il governo spagnolo come nel 2017, quando Carles Puigdemont, leader di JxCat, si lanciò in una battaglia secessionista con un referendum non riconosciuto da Madrid le cui conseguenze furono il commissariamento della regione e l’arresto o la fuga all’estero di numerosi politici indipendentisti.

Eletto con i 33 voti di Erc, i 32 di Junts per Catalunya e i 9 della sinistra radicale indipendentista di Cup, Aragones sa bene che il 52% dei suffragi ottenuti alle elezioni dello scorso 14 febbraio corrisponde in realtà ad appena il 25% degli aventi diritto. Il mandato popolare per un nuovo tentativo di divorzio da Madrid quindi non c’è. I presupposti per una trattativa su altri temi, come l’amnistia, ci sono invece tutti. Il presidente di Erc, Oriol Junqueras, incarcerato per il fallito tentativo di secessione del 2017, ha potuto usufruire di un permesso speciale per assistere in aula all’investitura del suo delfino e, quindi, alla vittoria della sua scommessa.

In vista del voto, Aragones non era certo considerato il volto più popolare presso la base del partito. A questo economista dai modi pacati veniva rimproverata una mancanza di carisma e venivano preferite figure più risolute come Roger Torrent e Joan Tardà. Junqueras mise però a tacere le resistenze interne e impose come suo successore Aragones, suo fedelissimo collaboratore da lungo tempo. I risultati del voto gli avrebbero dato ragione: 33 seggi, lo stesso numero dei socialisti e uno in più di JxCat.

Socialisti e Podemos non erano contrari a un’intesa con Erc, che ha scelto la strada di una coalizione indipendentista nonostante i difficili rapporti con il partito di Puigdemont, ancora molto influente nonostante l’esilio belga. Nei mesi scorsi JxCat bloccò due volte l’investitura di Aragones, già presidente ad interim dallo scorso settembre, quando il predecessore Quim Torra, esponente di JxCat, fu inabilitato dal Tribunale Supremo di Madrid per “disobbedienza”. Quando ormai mancavano pochi giorni al termine entro il quale sarebbero state convocate nuove elezioni, incassato il sostegno di Cup, JxCat è stato però costretto a cedere. E a superare lo stallo è stato fondamentale anche l’approccio negoziale di Aragones, abile mediatore, sempre attento a mostrarsi pragmatico e a non cedere alle provocazioni degli alleati-rivali.

Il centotrentanduesimo presidente della Generalitat, secondo la tradizione che fa risalire l’istituzione al quattordicesimo secolo, è del resto giovane anagraficamente ma politicamente assai navigato. Nato a Pineda de Mar il 16 novembre 1982, sposato e padre di una bambina, Aragones ha respirato politica sin dall’infanzia. Suo nonno era stato sindaco della sua città natale in epoca franchista, suo padre era stato consigliere comunale per il partito indipendentista Cdc. All’adolescenza risale la militanza nella sezione giovanile di Erc, della quale diventò nel 2003 portavoce nazionale. Una posizione che si guadagnò grazie all’abilità di comunicatore, con slogan di spicco come “Ogni secondo la Spagna ci ruba 450 euro: basta spoliazione fiscale”. Un approccio barricadero che sarebbe stato sostituito presto dal profilo concreto e dialogante che gli ha spesso alienato le simpatie dell’ala intransigente dell’indipendentismo.

La sua formazione è sia giuridica che economica. Laureatosi in legge, Aragones vanta nel suo curriculum un master in storia economica a Barcellona e uno in politiche pubbliche per lo sviluppo presso la Kennedy School of Government dell’Università di Harvard. Competenze che spinsero Junqueras a sceglierlo come responsabile economico del partito e poi come coordinatore nazionale, il grado più alto nell’organigramma di Erc dopo quello di Junqueras stesso e della segretaria Marta Rovira, oggi latitante in Svizzera.

Vicepresidente e responsabile dell’Economia nel governo Torra, Aragones si è costruito negli ultimi anni la fama di uomo d’ordine e instancabile negoziatore. E’ merito suo l’approvazione della legge di bilancio del 2020, l’unica approvata dal Parlament in tre anni. Ed è merito suo l’allargamento dell’alleanza indipendentista, anche a livello locale, a Cup, che lo ha ricambiato sostenendolo nello scontro con JxCat per la guida della Generalitat. In campagna elettorale, Erc ha messo la ripresa dell’economia e la lotta alla pandemia prima delle velleità secessioniste. Gli elettori, stremati dall’infruttuoso muro contro muro con Madrid e dall’impatto del Covid-19, hanno premiato questa linea.

Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, ha auspicato un dialogo costruttivo. Salvador Illa, candidato socialista alla presidenza della Catalogna, ha promesso un’opposizione leale. Il rischio ora è che JxCat, frustrata dalla perdita della leadership indipendentista, dipinga Aragones come troppo accondiscendente con Madrid. Ma per ottenere l’amnistia dei politici incarcerati dopo lo strappo del 2017 chiedere subito un nuovo referendum per la secessione non è la tattica migliore. Lo sa Aragones e lo sa il suo mentore Junqueras, che per uscire di prigione punta su colui che ha reso Erc il volto gentile e moderato dell’indipendentismo catalano.

Agi

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