Qatar: retroscena dei fruttuosi affari degli esportatori di armi svizzeri

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Qatar – Mentre la maggior parte dei settori dell’economia soffre a causa della pandemia, così non è per l’industria degli armamenti che ha realizzato un record di esportazioni lo scorso anno. Si tratta però di un settore che fa l’occhiolino a partner commerciali poco raccomandabili. Sotto la minaccia di un’iniziativa popolare, il Parlamento vuole dare un giro di vite all’attività degli esportatori d’armi.

Sotto il sole del Qatar, i calciatori che disputeranno il Campionato mondiale del 2022 giocheranno in stadi protetti da cannoni svizzeri. Lo Stato del Golfo ha acquistato due sistemi di difesa antiaerea da un’impresa di armamenti zurighese per 200 milioni di franchi, ha rivelato a inizio giugno il quotidiano svizzero-tedesco Blick . Si tratta di una delle esportazioni di materiale bellico più grandi degli ultimi anni.

Dietro le infrastrutture nuove fiammanti che accoglieranno la grande manifestazione calcistica si nasconde tuttavia la realtà poco lusinghiera di un Paese che viola sistematicamente i diritti umani. Per costruirle, 6’500 lavoratori immigrati avrebbero perso la vita dal momento dell’attribuzione dell’organizzazione del campionato al Qatar dieci anni fa, secondo un’inchiesta del giornale britannico The Guardian .

Queste rivelazioni hanno spinto un vivaio danese a rifiutare di fornire l’erba degli stadi e numerosi giocatori, di norma poco politicizzati, ad azioni di protesta. Lo scandalo non ha tuttavia impedito al Governo elvetico di approvare la transazione.

La legge permette infatti di esportare armi verso un Paese anche se vi si commettono gravi violazioni dei diritti umani. In più, nel 2017 il Qatar è uscito dall’alleanza militare attiva in Yemen e non è dunque più implicato in un conflitto.

Violenze di polizia con armi svizzere in Brasile

Non è la prima volta che il materiale bellico svizzero finisce in mani poco rispettose dei diritti fondamentali.

L’organizzazione umanitaria per l’infanzia Terre des Hommes, la sua sezione tedesca, così come l’istituto brasiliano Sou da Paz hanno recentemente preteso la fine delle esportazioni d’armi svizzere verso il Brasile. Il Paese dell’America Latina è l’ottavo più grande cliente dell’industria delle armi della Confederazione. Nel 2020, le esportazioni verso questo Stato ammontavano a più di 30 milioni di franchi.

Pistole, fucili, veicoli blindati ed elicotteri svizzeri sono utilizzati negli interventi di polizia e militari in Brasile, durante i quali i diritti umani sono regolarmente violati, secondo uno studio di Terre des Hommes. “La violenza della polizia ha raggiunto proporzioni drammatiche. Ogni giorno, quattro bambini e giovani sono uccisi dalla polizia in questo Paese”, denuncia il rapporto.

La flessibilità dei criteri di esportazione spiega la presenza di armi svizzere in Paesi controversi. Negli ultimi anni, il Governo ha gradualmente allentato l’Ordinanza sul materiale bellico (OMB). Nel 2014, ha per esempio autorizzato le esportazioni verso Paesi che “violano sistematicamente e gravemente i diritti umani” fintanto che resti basso il rischio che “il materiale bellico da esportare venga impiegato per commettere gravi violazioni di tali diritti”.

Nel 2016, l’OMB è stata reinterpretata affinché il divieto di esportare materiale bellico verso Paesi coinvolti in un conflitto sia applicabile solo nel caso il conflitto si svolga direttamente nel territorio del Paese importatore.

Un’industria fiorente

Queste modifiche hanno permesso di lasciare un margine d’interpretazione “piuttosto favorevole” all’economia, come indica un rapporto del Controllo federale delle finanze del 2018. Una constatazione confermata dalle cifre poiché l’ammontare delle esportazioni di materiale bellico non ha fatto che aumentare dal 2016.

L’industria degli armamenti è fiorente. Nel 2020, la Confederazione ha esportato più di 900 milioni di franchi in materiale bellico, un record storico.

Scandali eclatanti

Diversi scandali attirano tuttavia l’attenzione sul rovescio della medaglia. Nel 2018, la scoperta di immagini di armi svizzere in possesso dei miliziani in Siria, Libia e Yemen suscita indignazione. Lo stesso anno, il Consiglio federale annuncia la volontà di autorizzare le esportazioni verso Paesi in conflitto qualora non ci sia ragione di pensare che le armi saranno utilizzate in tale conflitto.

La misura è colma. Nel 2019, la coalizione “Contro le esportazioni di armi verso Paesi in guerra civile” lancia l’omonima iniziativa, raccogliendo il sostegno di politici di sinistra, di destra e quello di organizzazioni della società civile. Il testo non intende proibire completamente le esportazioni di materiale bellico. Vuole evitare che le armi siano esportate verso Stati che violano gravemente i diritti umani, situazione che prevaleva prima del 2014.

“Un passo avanti”

I promotori dell’iniziativa hanno ottenuto una prima vittoria il 3 giugno: il Consiglio degli Stati (Camera alta del Parlamento) ha approvato il controprogetto che il Governo propone come alternativa all’iniziativa. Il testo comprende il divieto di esportare armi verso Paesi che commettono gravi violazioni dei diritti umani. I senatori hanno anche abolito la possibilità di fare eccezioni, clausola invece prevista dal Governo. Dovrebbe quindi diventare impossibile esportare materiale bellico verso il Qatar, come è stato fatto nell’ambito del Campionato mondiale di calcio.

“Si tratta di un impegno importante a favore della tradizione umanitaria della Svizzera e un grande contributo a una politica di pace credibile”, scrive la coalizione in un comunicato. Se il Consiglio nazionale (Camera bassa) sosterrà a sua volta il controprogetto in questa sua forma, la coalizione si riserva la possibilità di ritirare l’iniziativa.

Terre des Hommes Svizzera, membro della coalizione, si felicita della decisione del Consiglio degli Stati. “È un passo nella giusta direzione. Con questa decisione, le esportazioni verso Paesi che violano i diritti umani non saranno più possibili”, commenta Andrea Zellhuber, esperta nella prevenzione della violenza per l’ONG.

Swissinfo

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