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Gaza, così Hamas raccoglie milioni di dollari in criptovalute

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Il profumo dei dollari è diventato troppo facile da annusare per i cani poliziotto all’aeroporto, soprattutto se in quelle valigie sono pigiate migliaia di banconote. Così i gruppi terroristici (assieme ai riciclatori di denaro) si sono spostati negli spazi virtuali dove la pecunia di odore non ne ha.

Anche Hamas — sottoposta a sanzioni perché nella lista nera di americani ed europei — sta ricevendo sempre più donazioni e finanziamenti con un sistema complesso di portafogli digitali creati attraverso le blockchain, le stesse utilizzate per investire nelle criptovalute. L’organizzazione che domina su Gaza dal 2017, dopo averne tolto il controllo con un golpe all’Autorità palestinese, ha messo in piedi le sue squadre cyber, inquadrate nelle truppe irregolari delle brigate Ezzedin Al Qassam. È la cosiddetta ala militare a gestire i fondi online e a riceverne la quota più grande.

Durante gli undici giorni di guerra contro Israele a metà maggio «c’è stato un balzo nelle offerte in criptovalute, soldi che usiamo per difendere i diritti base dei palestinesi», spiega un capo di Hamas al quotidiano americano Wall Street Journal. Sul canale Telegram, la piattaforma per scambiare messaggi criptati, le Brigate hanno raccolto 261 mila nuovi seguaci, una crescita molto maggiore rispetto all’account ufficiale di Hamas.

Nelle casse virtuali del gruppo sono entrati Bitcoin ma anche il concorrente Ethereum e perfino Dogecoin, una moneta creata per gioco cinque anni fa e tornata di moda speculativa dopo un tweet di Elon Musk, il fondatore della Tesla. L’anno scorso gli americani hanno sequestrato ad Hamas oltre 1 milione di dollari in criptovalute. In questo caso sequestrare significa riuscire a individuare i wallet digitali che appartengono all’organizzazione e bloccarli o trasferirne le somme.

Anche gli israeliani a fine giugno sono intervenuti per fermare questa catena: con l’aiuto della società Chainanalysis gli hacker dell’esercito hanno ricostruito i passaggi tra indirizzi pubblici per le donazioni, portafogli di intermediari anonimi e «centri di scambio ad alto rischio» come quelli individuati a Idlib in Siria e in Iran. Gli account colpiti — moltiplicati dall’uso di codici QR a disposizione dei donatori per crearne sempre di nuovi — sono oltre 70 e l’operazione è stata resa pubblica e rilanciata da Benny Gantz, il ministro della Difesa, come prova della capacità tecnologica dei militari.

Per Hamas il problema più complicato è riconvertire le criptovalute in contanti da usare per i traffici. Per questo gli estremisti continuano a utilizzare soprattutto il vecchio sistema: l’afflusso di soldi è movimentato attraverso i baracchini di cambiavalute in tutto il Medio Oriente e da lì con trasferimenti illegali verso la Striscia.

Corriere della Sera

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