Il figlio del “Leone del Panjshir” chiede armi per la resistenza ai talebani

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Panjshir afghanistan

Il figlio del “Leone del Panjshir” chiede armi per la resistenza ai talebani – Appello di Ahmad Massoud agli Usa. Con lui il ministro della Difesa e il vicepresidente di Ghani. Nella ‘fortezza naturale’ del nord-est si organizza la rivolta

C’è una porzione di territorio, in Afghanistan, dove i talebani non sono arrivati. Ed è lì che si sta organizzando la resistenza contro i fondamentalisti che hanno ripreso il potere nel Paese. O, meglio, si sta riorganizzando. Perché il Panjshir –  provincia a nord-est di Kabul che – considerata una fortezza naturale per la conformazione del suo territorio –  è stata in più occasioni il teatro della resistenza afghana.

Nei corsi e ricorsi storici del Paese “cimitero degli imperi” tornano i luoghi, ma tornano anche i nomi. Perché tra i protagonisti del gruppo che si sta mettendo in forze per opporsi ai taliban c’è Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shah Massoud, il “leone del Panjshir”, che riuscì a fare in modo che in quell’area non mettessero piede i sovietici prima e i talebani poi. Massoud padre fu ucciso il 9 settembre 2001, appena due giorni prima dell’attentato che ha cambiato la storia dell’Occidente, ma anche dell’Afghanistan. Massoud figlio – che ha 32 anni e ha studiato a Londra – ha intenzione di calcare le sue orme. Parla alla comunità internazionale e si propone come leader di una nuova resistenza. “Scrivo oggi dalla valle del Panjshir, determinato a seguire le orme di mio padre, con i combattenti mujaheddin che sono pronti ad affrontare ancora una volta i talebani. Abbiamo scorte di munizioni e armi, pazientemente raccolte dai tempi di mio padre, perché sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato”, ha scritto in un intervento sul Washington post.

Dalla sua parte, racconta, ci sono anche alcuni soldati dell’esercito afghano che non hanno condiviso la resa delle truppe e che stanno cercando di arrivare in Panjshir. Ma soprattutto alcune figure di spicco delle istituzioni afghane, almeno di come le conoscevamo prima che i talebani tornassero al potere. Tra loro c’è l’ex ministro della Difesa del governo di Ashraf Ghani, Bismillah Mohammadi. Su Twitter ha postato una foto del leone del Panjshir, accompagnata da un commento: “Dove sei? La mia casa è fredda”. Non risparmia accuse al premier che ha lasciato Kabul domenica. Proprio nelle ore in cui Ghani saliva sull’aereo, lui scriveva: “Ci hanno legato le mani dietro la schiena e hanno venduto la patria, al diavolo il ricco e la sua banda”.

In prima fila con gli oppositori c’è poi quello che è stato il vice di Ghani, Amrullah Saleh, che in Panjshir è nato e che dell’Alleanza del nord – questo il nome che il generale Massoud aveva dato al movimento – ha fatto parte. Dopo aver palesato la disapprovazione nei confronti del Pakistan che “ha sostenuto l’oppressione e la dittatura brutale”, dopo la fuga di Ghani ha ricordato che, secondo la Costituzione, i poteri spettavano a lui. “Per chiarezza – ha scritto su Twitter, direttamente in inglese – Come da costituzione, in caso di assenza, fuga, dimissioni o morte del Presidente il vice diventa il Presidente ad interim. Attualmente sono nel mio paese e sono il legittimo presidente. Mi rivolgo a tutti i leader per ottenere il loro sostegno e consenso”. Alla caduta di Ghani, Saleh è tornato nella sua provincia di nascita, accanto al movimento di resistenza.

Sembrano determinati a non restare con le mani in mano gli oppositori dei talebani. Ma sono consapevoli che le armi e le munizioni che hanno non basterebbero mai a fronteggiare un attacco prolungato degli avversari. Ne servono di più, perché se i talebani dovessero arrivare nel loro territorio, prima o dopo sarebbero costretti a soccombere. A meno che in loro aiuto non arrivino i mezzi dell’Occidente. Lo stesso che, proseguendo con il ritiro delle truppe ha fatto capire – neanche troppo velatamente – che ciò che accade all’interno dei confini dell’Afghanistan non gli interessa più. “Se i talebani lanciassero un’offensiva, si troverebbero ovviamente di fronte a una strenua resistenza da parte nostra. La bandiera del Fronte di Resistenza Nazionale sventolerà come 20 anni fa. Eppure sappiamo che le nostre forze militari e la logistica non sarebbero sufficienti. Si esaurirebbero rapidamente. A meno che i nostri amici in Occidente non trovino un modo per venirci incontro, senza indugio”, scrive ancora Massoud. Un messaggio indirizzato in particolar modo agli Usa.  “L’America può ancora essere un grande fautore della democrazia”, ha scritto sulle colonne del Wp. Ammiccando alla stessa potenza che, con le parole del presidente Biden, ha ribadito di non voler più spendere energie per quel Paese.

Delle (poche) possibilità che questo movimento trovi qualche forma di aiuto esterno ha scritto sul Guardian Emma Graham-Harrison. “Nessuno dei Paesi confinanti è candidato a sostenere un movimento anti-talebano, almeno per ora”,. Il discorso è simile se si va oltre la regione: “Saleh e i suoi alleati avrebbero probabilmente difficoltà a trovare un sostegno straniero significativo”.

La strada per il fronte anti talebano parte in salita. C’è, però, un elemento da considerare: i combattenti al momento sono alle prese con il potere che hanno raggiunto più velocemente di quanto loro stessi si aspettassero. Devono crearsi un minimo di legittimazione internazionale, formare un governo. Potrebbero lasciar perdere il Panjshir, e i loro oppositori, almeno per il momento. Il fattore tempo potrebbe quindi giocare a favore del Fronte di Resistenza Nazionale. Che potrebbe organizzarsi meglio e raccogliere più proseliti. Ma difficilmente senza aiuto esterno potrà avere la forza di ostacolare significativamente il regime che sta per essere instaurato.

Huffingtonpost

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