In Kazakistan una crisi che (forse) non conviene a nessuno

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Quasi 8.000 persone sono state arrestate in una settimana di disordini e repressione governativa in Kazakistan che ha provocato la morte di decine di persone. Lo ha annunciato il ministero dell’Interno riferendo che “al 10 gennaio, 7.989 persone sono detenute”.

Il 7 gennaio lo stesso ministero aveva riferito un bilancio di 26 manifestanti uccisi, altrettanti feriti e oltre 3.800 persone arrestate ammettendo anche che 18 agenti erano morti e 700 feriti: dati non verificabili da fonti indipendenti.

Il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha reso noto ieri che le forze guidate dalla Russia che sono entrate in Kazakistan per sostenere il governo a seguito delle proteste, inizieranno a ritirarsi entro due giorni.  Tokayev ha parlato di un ritiro graduale dei contingenti dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) che hanno  schierato 3.500 militari nel grande paese ricco di risorse energetiche e minerarie: 2.500 russi, 500 bielorussi e almeno altri 500 da Armenia, Tagikistan e Kirghizistan (nella foto in alto).

“L’implementazione degli incarichi da parte delle forze collettive di peacekeeping sarà portata avanti fino a quando la situazione in Kazakistan sarà completamente stabilizzata, naturalmente, su decisione della leadership kazaka”, ha detto ieri il ministro russo della Difesa, Sergei Shoigu. Il rapido ritiro delle forze della CSTO è stato chiesto anche dal Dipartimento di Stato americano. 

La crisi, che secondo i funzionari kazaki è stata causata da forze esterne che hanno dirottato manifestazioni inizialmente pacifiche, ha minacciato di destabilizzare il Paese. Tokayev, che ha accettato le dimissioni del governo il 5 gennaio, ha nominato Alikhan Smailov primo ministro che era già stato ministro delle finanze tra il 2018 e il 2020.

Il 10 gennaio Tokayev, ha denunciato la partecipazione di “combattenti dall’Asia centrale, compreso l’Afghanistan, e dal Medio Oriente” ai disordini seguiti alle manifestazioni anti-governative. La presidenza kazaka ne ha informato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. “Non ho dubbi che sia stato un attacco terroristico. Un atto di aggressione ben organizzato e preparato contro il Kazakistan con la partecipazione di combattenti stranieri, principalmente dai Paesi dell’Asia centrale, compreso l’Afghanistan.

C’erano anche combattenti dal Medio Oriente”, ha detto Tokayev peer il quale “il piano era quello di creare caos controllato sul territorio kazako per poi prendere il potere. “Per questo è stata lanciata un’operazione anti-terrorismo”, ha aggiunto precisando che i militari della CSTO “non prendono parte alle operazioni militari. Il loro compito principale è garantire la protezione delle strutture strategiche ad Almaty e nella capitale del Kazakistan permettendo alle forze di sicurezza kazake di contrastare i terroristi”.

Del resto il Trattato non prevede infatti l’attivazione militare della CSTO per sedare manifestazioni ma solo (Articolo 4) interventi in aiuto dei Paesi membri il cui territorio sia minacciato da una forza esterna.

il comando delle forze della CSTO è stato assegnato al generale russo Andrei Serdyukov, comandante delle unità aerotrasportate, già a capo delle operazioni in Crimea nel 2014 e in seguito in Siria, dove ha maturato una grande esperienza nelle operazioni anti-insurrezionali.

 

Scoppiati come rivolta popolare contro i rincari di carburante e generi alimentare, i disordini in Kazakistan sembravano aver assunto le caratteristiche di una vera e propria insurrezione, o almeno questa è stata la lettura privilegiata sia dal governo kazako sia dalle nazioni che gli hanno mostrato o espresso solidarietà e appoggio.

Tokayev, dopo uno sbandamento iniziale di fronte all’estensione della rivolta, ha scelto la linea dura autorizzando le forze di sicurezza ad aprire il fuoco senza preavviso contro i manifestanti e respingendo ogni ipotesi di dialogo con i “terroristi” accusati di essere manipolati da interessi stranieri,

In realtà però i ribelli qualche concessione sembrano averla ottenuta poiché oltre alle dimissioni del governo sembra che il contestato “padre della patria”, Nursultan Nazarbayev che è stato presidente-padrone del Kazakistan dal 1990 al 2019 (quando cedette la presidenza all’esperto diplomatico Tokayev pur mantenendo una forte influenza politica e ampi interessi sull’economia nazionale) sia fuggito all’estero con la famiglia, anche se mancano certezze in proposito.

Non si può escludere neppure qualche legame tra rivolta e sistema istituzionale dopo il licenziamento il 5 gennaio e l’arresto del direttore dell’Intelligence interna (Comitato per la sicurezza nazionale) Karim Masimov con l’accusa di tradimento(nella foto sotto)

 

Nazarbayev, che sveva mantenuto la presidenza del potente Consiglio di sicurezza, si sarebbe rifugiato con la famiglia a Dubai, e la stessa capitale Astana, ribattezzata Nur-Sultan tre anni fa in suo onore, avrebbe ripreso nei giorni scorsi il suo nome originale.

Una concessione agli insorti forse suggerita da Mosca che, come Pechino, ha interesse a evitare una crisi prolungata in un’Asia Centrale resa già instabile dalla vittoria talebana in Afghanistan e dove il vento del jihad potrebbe soffiare sulle repubbliche asiatiche ex sovietiche.

La Cina sostiene le autorità kazake, appoggia l’intervento delle truppe della CSTO e “si oppone fermamente al fatto che forze esterne provochino deliberatamente sconvolgimenti sociali e incitino alla violenza” ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin.

La Cina è pronta a una maggiore cooperazione a livello di “forze dell’ordine e di sicurezza” con il Kazakistan e a fornire aiuto per contrastare l’ingerenza di “forze esterne”, ha affermato il 10 gennaio il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi che insieme all’omologo russe Sergei Lavrov ha ribadito che “Cina e Russia, in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e amichevoli vicini dei Paesi dell’Asia centrale, non devono permettere che l’Asia centrale sia nel caos e nella guerra”.

Sostegno a Tokayev è giunto anche dal ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha ribadito il sostegno e la vicinanza di Ankara, importante partner commerciale del Kazakistan.

 

La Turchia è “al fianco del Kazakistan con tutti i mezzi” e “siamo pronti a mobilitare tutte le nostre risorse” ha ribadito ieri il capo della diplomazia turca.

“Solidarietà” al governo kazako è stata espressa anche dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Saeed Khatibzadeh. “Il governo legittimo che governa quel Paese e la nobile nazione del Kazakistan sconfiggeranno sicuramente i complotti e le cospirazioni straniere che sono state orditi con l’obiettivo di creare rivolte e instabilità e supereranno questi giorni difficili”, ha affermato il portavoce, citato dall’agenzia Tasnim.

Unica nazione europea a sbilanciarsi nel sostegno al governo kazako è stata l’Ungheria dove il primo ministro Viktor Orban ha espresso a Tokayev, “solidarietà e condoglianze ” per le vittime dei disordini offrendo “aiuto”.

L’Unione Europea aveva espresso “grande preoccupazione” per la situazione e la NATO aveva nei giorni scorsi lanciato un appello per la “fine delle violenze e per il rispetto dei diritti civili”.

 

Benché gli Stati Uniti, con la crisi ucraina ancora in atto, possano avere interesse a mettere nuovamente in difficoltà Mosca nel suo “giardino di casa”, la grave crisi energetica globale potrebbe scoraggiare l’Occidente dal soffiare sul fuoco della crisi considerato che il Kazakistan produce quasi 1,7 milioni di barili di greggio al giorno ed è ricco di uranio, terre rare e in pratica di tutte le ricchezze minerarie.

Nei giorni in cui sono imperversati i disordini il prezzo del petrolio è salito del 5 per cento per poi perdere quota a partire dal 10 gennaio, quando la società kazaka Tengizchevroil (TCO) ha gradualmente aumentato la produzione nel campo Tengiz che era stata limitata a causa delle proteste.

 @GianandreaGaian

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