Covid e restrizioni, la nuova linea di Londra, Spagna, Francia e Portogallo
Il Covid non può essere un’emergenza per sempre: bisogna imparare a conviverci. E battere il virus non è più considerata la strategia vincente, meglio accettare il pareggio. Questa linea di pensiero va guadagnando terreno, da Londra a Madrid, dal Portogallo alla Francia, passando per Washington, Pretoria, e anche l’Australia. Se il premier spagnolo Pedro Sanchez punta ad aprire il dibattito a livello europeo, strategie simili sono allo studio in Portogallo e cominciano a prendere piede in Francia. È una ritirata strategica, quella scelta da molti Paesi, ma di certo sono sempre meno quelli che, come la Cina, scelgono la strategia ‘zero Covid’.
Il premier Sanchez nei giorni scorsi ha avvertito che potrebbe esser arrivato il momento di monitorare la pandemia in modo diverso e vuole una riflessione in merito anche nell’Ue: “Abbiamo le condizioni per aprire, gradualmente e con cautela, il dibattito a livello tecnico ed europeo, per iniziare a valutare l’evoluzione di questa malattia con parametri diversi da quelli che abbiamo fino ad ora”. Il prossimo passo del governo spagnolo potrebbe essere iniziare a trattare il Covid in un modo più simile all’approccio di una comune influenza: senza contare ogni caso di contagio, senza fare test davanti alla comparsa di un minimo sintomo. Trattarlo insomma come una malattia respiratoria: le autorità sanitarie spagnole stanno lavorando da mesi a questa transizione. Anche il governo britannico vuole imparare a “convivere con il Covid come si convive con l’influenza”: revocate le restrizioni del ‘piano B’, dal 27 gennaio in Gran Bretagna non saranno più obbligatori il pass vaccinale e la mascherina rimane solo “consigliata” nei luoghi affollati; mentre l’obbligo di mascherina nelle aule scolastiche è revocato già da oggi. Anche in Francia, nonostante il numero di contagi imponente e mai toccato finora, dal 2 febbraio dovrebbe cadere l’obbligo della mascherina all’aperto; dal 16 febbraio riaprire le discoteche.
E’ una scelta sostenuta da molti scienziati e accolta con favore della gente, esausta da un’emergenza sanitaria che sta per entrare nel terzo anno. Del resto, i dati sono incoraggianti: la curva dei contagi è in diminuzione in Gran Bretagna (i casi sono quasi dimezzati rispetto alla fine di dicembre), anche in Italia la curva di crescita sta diventando meno impetuosa. Questo grazie ai vaccini ma anche all’elevata circolazione del virus: ecco dunque che i governi si attrezzano per imparare a convivere con il virus, come si fa con l’influenza, il morbillo o la malaria. Secondo l’Oms, il virus non è ancora endemico: per classificarlo in quella fase, il tasso di infezione deve infatti stabilizzarsi, ma ci vogliono anni, e non presentare picchi difficili da gestire. Si è ancora lontani ma molti scienziati ritengono che proprio la variante Omicron, che tra l’altro è meno grave della Delta, rappresenti una fase di transizione: contagia infatti un numero così elevato di persone che crea una sorta di immunità naturale. Tra l’altro gli studi indicano che la variante Omicron prospera nelle vie aeree superiori ma meno nei polmoni e, di conseguenza, i ricoveri ospedalieri sono più brevi e il numero di pazienti che devono essere ricoverati in terapia intensiva è diminuito. Per questo motivo, il Sars-CoV-2 sembra destinato in un tempo relativamente breve ad essere considerato come gli altri coronavirus che causano il raffreddore.