“Talebani a due ore da Parigi”. Il caso che indigna la Francia

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“Talebani a due ore da Parigi” – Un documentario mostra come la città di Roubaix sia diventata un avamposto del radicalismo, tra moschee, negozi halal e librerie con testi che incitano al jihad. E gli autori del servizio finiscono sotto scorta per minacce di morte.

L’Afghanistan dei talebani è “a due ore di macchina da Parigi”. Il candidato di Reconquête alle prossime elezioni presidenziali francesi, Éric Zemmour, in una lettera aperta pubblicata su Le Figaro, commenta così il documentario choc che da un paio di settimane infiamma il dibattito politico francese. A far discutere sono le immagini mandate in onda lo scorso 23 gennaio dalla trasmissione televisiva Zone Interdite, sul canale M6, che mostrano la metamorfosi di Roubaix, cittadina di 90mila abitanti nel distretto del Nord, che da centro industriale delle Fiandre francesi si è trasformata in una sorta di provincia del Califfato islamico.

Le donne sono quasi tutte velate e le botteghe tradizionali sono state sostituite da alimentari e macellerie che vendono carne halal. Le telecamere nascoste dei giornalisti, accompagnati dal giovane attivista Amine Elbahi, riprendono sugli scaffali dei negozi giocattoli e peluche senza volto, in linea con i dettami dell’Islam che vietano le rappresentazioni umane, libri che promuovono la lapidazione delle donne o la jihad venduti nelle librerie e un ristorante, poi chiuso per ordine del prefetto dopo la diffusione del reportage, in cui le donne venivano confinate in un’apposita sala.

Nelle moschee della città, almeno sette, si predica l’odio contro gli infedeli. E, come si legge sui media francesi, a fare proselitismo islamista sarebbe stata anche un’associazione che fino a febbraio del 2021 era finanziata anche con fondi pubblici dal sindaco Guillaume Delbar, del partito di Emmanuel Macron, La République en Marche, sotto processo per la vicenda. Elbahi ha raccontato ai microfoni di M6 di aver avvertito il sindaco in due occasioni, ad ottobre e novembre del 2020, delle attività dubbie portate avanti da Ambitions et initiatives pour la réussite, l’organizzazione in questione. Il primo cittadino aveva assicurato al giovane attivista di aver riferito la cosa al prefetto, ma nulla è cambiato.

Le minacce agli autori del reportage

Nei giorni scorsi è stato proprio Delbar a parlare in una nota diffusa alla stampa di attacco alla città e di “caricatura” fatta da chi vede “separatisti ovunque”. Eppure, nel giro di qualche ora dalla messa in onda del documentario il giovane “roubaisien” che ha denunciato a viso aperto davanti alle telecamere la deriva islamista della città è stato sommerso da insulti e minacce di morte.

Un vero e proprio tsunami di odio, con messaggi arrivati via social, sms e Whatsapp in cui il ragazzo viene definito “kouffar”, e cioè miscredente, oltre ad essere avvertito del fatto che presto sarà “sgozzato e decapitato”. A finire nel mirino è stata anche la conduttrice della trasmissione, la giornalista Ophélie Meunier. Entrambi sono sotto scorta, come ha spiegato il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, che con un tweet promette che troverà “gli autori delle minacce”.

La denuncia: “Qui lo Stato ha fallito”

Intanto, Elbahi, che ha una sorella partita per combattere il jihad in Siria e rinchiusa attualmente in un carcere curdo, si sfoga in una lettera aperta inviata a Le Figaro“Roubaix, come numerosi territori in Francia, è diventata il simbolo del fallimento dello Stato, incapace di affermare la propria autorità”. I blitz ordinati dal prefetto per chiudere negozi e ristoranti dove la sharia prevalicava la legge nazionale, accusa il giovane attivista, sono scattati soltanto dopo la pubblicazione del documentario, nonostante le prime denunce risalgano al 2016. “La sfida per la Repubblica sarà quella di affermare ciò che tollera e ciò che vuole sul suo territorio”, scrive ancora Elbahi, che lancia l’idea della creazione di una “convenzione nazionale contro l’islamismo” per “liberare i musulmani di Francia dal fondamentalismo islamista”.

IlGiornale

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