Rabat: l’Africa è il futuro, ma solo se affrontato insieme – Rabat, meno calda di Roma. Cielo color terra e profumo di biscotti e menta. Il richiamo dell’Africa si percepisce in una valle deserta verso l’interno nel quale dominano due opere straordinarie: il teatro bianco della Zaha Hadid arrotolato come un serpente incantato, e un grattacielo filiforme di 104 piani made in China.
“L’Africa è il futuro”, mi dice Abdellah Boussouf, noto storico del Marocco nonché segretario del Consiglio della Comunità marocchina all’estero, principale promotore e organizzatore del “Salone internazionale del Libro” nella capitale della cultura africana: Rabat, appunto, fresca di elezione e piena di bandiere. Città-giardino laddove le persone credono che le antiche storie d’amore e magia purifichino gli animi quanto le danze sufi.
“Ho visto lo slogan del vostro padiglione italiano all’Expo di Dubai, dite che la bellezza unisce i popoli. E noi abbiamo invitato tutto il mondo al nostro Salone per far capire l’importanza dell’apertura alle diversità culturali. Siamo tutti collegati: qualunque cosa succeda a noi, o a voi, si ripercuote con i suoi effetti positivi o negativi sugli altri. Il Covid è stata una lezione e ci ha spiegato come funziona questo mondo. Ognuno deve avere interesse affinché l’altro stia bene”. Performatività della natura, direbbe la filosofa Karen Barad. Tutto è un groviglio.
E il Marocco sta bene? A guardarsi attorno è in corso una festa. Il salone del libro è un mare di bambini con lo zainetto arrivati a bordo di scuolabus accaldati. “Cosa cercano i nostri ragazzi nella nostra letteratura? La libertà. È il tema principale dei nostri libri. Libertà delle donne, libertà di espressione, religione, di movimento, libertà di definire essi stessi la propria identità”. In brochure, depliant e comunicati stampa sull’evento si accosta con naturalezza alla “diaspora” l’aggettivo “bello”. L’uomo qui è quel che è: l’homo viator, il viaggiatore che desidera, spera e si apre al futuro. L’uomo che sa che la scoperta della propria identità passa per l’altro. E che deve superare i propri confini.
“Non vogliamo essere un peso per l’Europa, ma un tesoro anche per voi”. Basta guardarsi attorno per restare ubriachi dalla musica tradizionale, dagli abiti principeschi, dai profumi di mandorle e cannella. “Pensi ai nostri valori, pensi ai nostri colori e alla semplicità con la quale affrontiamo la vita. Pensa che sia una cosa che può piacere all’Italia?”.
Di certo piaceva al Papa Leone X che restò impressionato, intorno al XV secolo, da un diplomatico marocchino chiamato Leone l’Africano che fu venduto dai corsari al Vaticano e imprigionato a Castel Sant’Angelo. Divenne in poco tempo per il Pontefice un dotto consigliere. “Se dovessi consigliare un libro all’Italia consiglierei proprio la sua Cosmographia dell’Africa, che spiega al meglio cosa sia il nostro enorme Continente”.
Oggi in Marocco c’è il Re Mohammed VI che alterna conservatorismo a riforme progressiste creando un contrappunto nel quale si possono fare rivoluzioni a piccoli passi, in modo pacifico e quasi silenzioso, anche se non sempre è semplice e qualche autore lo sa. C’è qualche tabù, ma anche l’Italia a volte non è da meno. O no? È sorta persino la prima scuola di alta formazione degli Imam al fine di insegnare la lettura del Corano, il quale ha bisogno, come insegnò a noi cristiani Origene di Alessandria nel II a.C, di intelligente interpretazione, oltre che di un filo conduttore: il bene.
“Uno dei libri più letti in questo stesso Salone è quello sulle “Donne Sante” scritto da Yasmina Sbihi, architetto e docente universitaria a Fes. “Si parla molto di spiritualità, non religione, ma spiritualità”. Ed è una rivoluzione forte e dolce quella femminile che finalmente sta diventando dominante. In altri tempi avere 7 ministeri su 24 sarebbe stato impensabile. Ora non più.
Stavolta però il Consiglio delle Comunità marocchina ha voluto soprattutto mettere al centro i ragazzi di seconda generazione che si stanno affermando all’estero. Sono stati “richiamati a rapporto” in Marocco per raccontare come si vive altrove, come hanno avuto successo, quali difficoltà incontrano. “Il mondo si scopre e lo scambio di culture è importante, ma ognuno sente le sue radici e quelle vanno protette e valorizzate. Non vogliamo che i nostri ragazzi all’estero si sentano soli”.
Quaranta storie di successo con Siham Doulkidah poetessa di Ferrara che lucida la nostalgia, si nutre di assenza, subisce la freddezza sotto il sole, e scrive tra l’altro questi versi meravigliosi: “Il mio cuore è una mela rossa/ In attesa di una colpa/ Che lo tiri fuori/ dal paradiso”.
Poi c’è Chaimaa Fatihi che scrisse una lettera ai terroristi dal titolo “Non mi avrete mai” e oggi è un’amata scrittrice. Abdelmjid El farji detto Magid è un giornalista e produttore affermato e Karima Moual, anche lei giornalista, oggi è tra le voci più autorevoli in tema di inclusione, diritti, integrazione. E di tanti altri ancora si potrebbe parlare. Ad ascoltarli in sacro silenzio il presidente del Consiglio della Comunità marocchina all’estero, un personaggio straordinario, attivista per i diritti umani, Driss el-Yazami. Parla e regala loro libri come fiori, tutti diversi, a seconda delle anime che ha davanti. E dice: “Nessuno vi imponga l’identità, ognuno deve sentire la sua. È la vostra libertà. Va preservata ed è in continua costruzione e sempre in cammino”.
Ed è vero che l’identità invece te l’impongono sempre gli altri. Perché dare la cittadinanza a chi ha meriti sportivi speciali? Perché chi vince è “italiano” e chi ha una vita normale sarà sempre “marocchino” anche se nato in Italia? Riflessioni scomode e senza risposte. “Siamo italiani, italiani e marocchini. Siamo voi e altro da voi”, dicono.
Se sei straniero c’è sempre chi sente il bisogno di etichettarti in qualche modo scatenando spiacevoli ovvietà: “i pregiudizi e la gabbia di definizioni scatenano disagi irreparabili”. Il pensiero va inevitabilmente ai recenti fatti di Peschiera del Garda a quelle molestie di gruppo che hanno trasformato il mito di Homo Viator in immigrato pericoloso. “Si può fare qualcosa per evitare il disagio di queste persone e far sì che tutti possiamo stare meglio?”.
In trecento chilometri si arriva al Mediterraneo. “Sa l’Oceano è troppo grande, per noi il vero mare è il Mediterraneo – continua Boussouf – da sempre crocevia per relazioni, scambi, viaggi, racconti, radici”.
Non il cimitero de “La pace perpetua” che ispirò Kant, dove galleggiano i cadaveri, ma opportunità logica, ancora prima che morale, di farsi tutti del bene.
Quando si abbraccia il diverso d’altronde c’è tutto ciò che occorre per ritrovarsi e meravigliarsi. E meraviglia è l’unica sensazione che si ha passeggiando tra i labirinti di viuzze bianche e azzurre di Rabat circondate da mura color ocra e dal suono dell’oceano. Contrappunto di diversità e luogo di incanto. Persino dei più velenosi boa.
Rabat: l’Africa è il futuro, ma solo se affrontato insieme
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