26enne trevigiana, Marta Novello lunedì è stata assalita con oltre venti coltellate dal suo aggressore, un minorenne di origini nigeriane, mentre faceva jogging in una stradina isolata a Mogliano Veneto
Marta Novello correva per gli affari suoi, prima di venire accoltellata alla schiena per venti volte da un quindicenne, figlio di un immigrato nigeriano, che sembra noto alle Forze dell’Ordine insieme ad una banda di coetanei.
Forse si conoscevano per la sua attività di mediatrice culturale, forse era scattata in lui una forma di possesso, forse aveva fatto delle avances respinte. Troppe coltellate per non pensare ad un coinvolgimento affettivo. Forse…Ma è certo che l’aspirante assassino è uscito da casa con un coltello da cucina, sicuramente non per un pomeriggio di scampagnata.
Questa tragedia, tutta da valutare nel movente, nello svolgimento, nella premeditazione necessita di un tempo di approfondimento, di analisi specifiche che definiscano – tecnicamente parlando – la criminogenesi e la criminodinamica del gesto delittuoso.
Alcune evidenze sono invece allarmanti, perché delittuose nei confronti della morale, dell’etica e della giustizia comune.
Allarmante e moralmente delittuosa la definizione di “bulletto” offerta dal Sindaco Davide Bortolato. Incauta, se non altro, e quanto meno sconcertante la riduzione a bullismo di un tentato omicidio, con l’improvvida specificazione della presenza di sostanze tossiche. Le droghe, di qualunque categoria siano, non possono neppure lontanamente attenuare la responsabilità personale. Mettiamoci pure il disagio giovanile e il quadro se non assolutorio, quanto meno attenuato, è già definito.
Che tutti abbiano diritto ad un giusto processo e ad un fedele patrocinio è un dato indiscutibile, ma è altrettanto eticamente delittuosa la considerazione dell’avvocato Matteo Scussat, il quale parla del suo cliente come di un “ragazzino di colore che si è rovinato a vita”, sovvertendo i soggetti nella priorità di vittima e di carnefice.
Ammetto che non ho la mentalità dell’avvocato, né la propensione intellettuale a disquisire di formalismi giuridici, ma ritengo – come personale scelta della parte di Abele e non di Caino – che certe affermazioni superino la funzione difensiva per tracimare nel cattivo gusto buonista.
Qui da noi, tra attenuanti generiche e specifiche, buone condotte, indulgenze peritali, finti pentimenti e diversificati fronzoli burocratico-giuridici, assassinare il coniuge costa meno che un divorzio conflittuale, e su questo – e poco altro – ha ragione Piercamillo Davigo.
Che gli Ermellini non pontifichino sull’ideale di giustizia, quando l’ingiustizia trionfa quotidianamente nella sua comune e generale manifestazione.
Psichiatra – Giornalista