Dopo il Covid… intervista al professore Salvatore Bucolo, saggista e studioso di tematiche sociali

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Dopo il Covid

Le conseguenze del “ritiro sociale” da coronavirus sono state molto gravi e a dircerlo è il professore Salvatore Bucolo, saggista e studioso di tematiche sociali.

Ho analizzato con estrema attenzione il ritiro sociale forzato, elencando alcune delle patologie che ne sonoscaturire: depressione, apatia, clinomania o cosiddetta sindrome di Hikikomori. Il fatto di non essere potuti uscire di casa per troppo tempo potrebbe ha causato l’isolamento da qualsiasi responsabilità o relazione sociale, inoltre anche forme di apatia a causa della mancanza delle motivazioni perse. Molti in questo gravoso periodo di disagio si sono immersi nel mondo del web, di internet, delle chat, ecc Avete mai sentito parlare dei cosiddetti Hikikomori? Si tratta di un fenomeno nato in Giappone per cui soprattutto gli adolescenti decidono di chiudersi, per mesi se non per anni, nella propria stanza, senza avere contatto con l’esterno, se non attraverso la “finestra” che offre internet. Gli Hikikomori ormai non sono solo ragazzi giapponesi ma anche europei e americani. Senza bisogno di arrivare al caso estremo degli Hikikomori, stare a casa tutto il giorno per un lungo periodo può causare i seguenti effetti psicologici: Bassa autostima, paura del fallimento e timore delle relazioni sociali. Dietro questa auto-reclusione, inoltre, ci possono essere anche fobie o la cosiddetta “clinomania”. Si tratta della voglia irrefrenabile non alzarsi dal letto, per potersi sentire al sicuro. È un modo per non dover affrontare ciò che si trova al di fuori della propria stanza e nel mondo esterno (fobia del coronavirus). Un altro disturbo potrebbe essere laorafobia, rappresentata dalla paura di uscire di casa. Questo fobia si caratterizza non tanto dalla paura di uscire di casa in sé, ma per la paura di sentirsi male in situazioni dove essere soccorsi potrebbe essere difficile o imbarazzante, ossia fuori casa. Questa paura è pertanto connessa all’agorafobia (che è la paura degli spazi aperti), e ne rappresenta comunque un possibile sintomo (ossia la paura ad uscire di casa). Questa paura è caratterizzata da un “evitamento” della situazione che può portare fobia e da un’ansia anticipatoria su quello che potrebbe accadere, vivendo così la paura di un attacco di panico e negandosi la possibilità di uscire di casa. Un altro caso in cui l’isolamento sociale è sintomo di una patologia maggiore è il caso della depressione.Questa può manifestarsi con il fatto di non riuscire a uscire più di casa, ma anche con l’incapacità di alzarsi dal letto, quindi con la clinomania. La depressione di questo tipo deriva probabilmente da problematiche profonde, come l’ansia sociale, senso di solitudine o bassa autostima. La depressione può portare a conseguenze molto serie. Se stare in casa tutto il giorno diventa un’abitudine è imprescindibile chiedere aiuto e supporto medico o psicologico. Stare tutto il tempo a casa ha conseguenze negative sul nostro benessere psico-fisico. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Current Biology”, quest’abitudine può causare un aumento della possibilità di soffrire d’ansia e d’insonnia. Secondo gli studiosi dell’University of Colorado at Boulder, infatti, la luce del sole ci serve per regolare i nostri ritmi biologici (ritmo circadiano) e, di conseguenza, anche quelli del sonno. L’esposizione unicamente all’illuminazione elettrica, invece, può aumentare il rischio di soffrire di disturbi del sonno, ansia, depressione, obesità e carenza di vitamina D. L’auto-reclusione e il ritiro sociale, inoltre, hanno effetti negativi anche sulle nostre capacità sociali. Utilizzare i social network e in generale internet per parlare con familiari e amici, infatti, mette a rischio i nostri rapporti con gli altri e ci impedisce di godere dei piaceri della vita. Un vero dolore fisico, molto più di un malessere. Infatti, l’ultima ricerca sugli effetti della solitudine, pubblicata da psichiatri e cardiologhi tedeschi che hanno studiato oltre 15mila persone tra i 35 e i 74 anni, conferma una lunga sequenza di studi sugli effetti collaterali del sentirsi soli. Aumentano i rischi cardiovascolari, salgono lo stress e l’ansia, e perfino i livelli della pressione possono risentirne. Dunque, la solitudine è una vera patologia, che il boom della rivoluzione tecnologica ha perfino aggravato. Viviamo tutti più connessi, ma più soli. Non dimentichiamoci che l’uomo è un animale sociale e in quanto tale ha bisogno d’interagire e di trovare il proprio posto all’interno della comunità.Per questo quando non ci riesce entra in crisi, mettendo in discussione tutto il proprio mondo. Eppure la solitudine non viene ancora considerata come dovrebbe: ossia un male pericoloso. Ci sforziamo di combattere il fumo, l’alcol e la droga, per i mali fisici e mentali che ci producono. Giusto. Ma trascuriamo i rimedi contro il male oscuro della solitudine che in realtà non colpisce solo le persone più anziane, ma sta esplodendo anche tra i giovani. È il destino dell’uomo contemporaneo: la tecnologia dovrebbe avvicinarci, grazie ai suoi effetti moltiplicatori in termini di “Rete”, ma in realtà tutte le statistiche ci segnalano sempre più soli. Da piccoli, con i ragazzi chiusi nelle loro tribù, e da grandi con gli anziani che sentono la vita allungarsi ma i rapporti umani rarefarsi. Tempo fa destò la mia attenzione un’inchiesta del quotidiano inglese The Guardian che segnalava come ormai in Gran Bretagna la solitudine sia diventata un problema per il sistema sanitario nazionale, anche perché chi ne soffre ha il 14 per cento di possibilità in più di pensare al suicidio rispetto agli altri. Una vera emergenza, e non solo per gli anziani. L’ultimo Rapporto delle amministrazioni locali la descrive come la prima priorità dei governi locali. E arriva anche a quantificare i rischi per salute, paragonandoli a quelli legati al fumo. In pratica: essere soli è peggio che fumare più 15 sigarette al giorno. Quasi un pacchetto. Sapevamo, da altre ricerche scientifiche che la solitudine diminuisce le nostre difese immunitarie e spalanca le porte alla depressione. Stare a lungo chiusi, a differenza dello stare fuori, ci rende tristi, spenti e piatti, mentre il rapporto con la natura, con l’estero, con gli altri ci dà maggiore vitalità. La creatività aumenta del 50 %, lo stress si riduce di moltissimo, si possono migliorare negli anziani i sintomi della demenza, si migliora la memoria, aumenta il senso di appartenenza, si migliora la salute mentale, aumenta l’autostima, si migliorano i sintomi di ADHD nei bambini che soffrono di disattenzione e iperattività e si supporta il cervello a lavorare in sincronia. Davanti a questa riflessione la politica non può sottovalutare tale disagio e per tanto dovrebbe intervenire quanto meno con un numero verde di supporto psicologico, in quanto questo arresto forzato della libertà personale ha generato una iperproduzione di ansia e l’ansia può diventare un vero e proprio disturbo mentale. Oggi nel mondo ne soffrono 27 milioni di persone e ancor più se si contano disordini ad essa legati, come le fobie. Le persone con disturbi d’ansia passano la vita a preoccuparsi troppo, il che abbatte in modo più o meno importante la qualità della loro esistenza quotidiana. L’ansia spesso si somatizza, e si manifesta dunque con sintomi fisici, che vanno dalla sensazione di stanchezza perenne alle difficoltà respiratorie, dalle tensioni muscolari ai mal di testa.

Salvatore Bucolo (Pedagogista, cognitivista, teologo, catecheta, bioeticista e sessuologo).

Redazione

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