Europa e Tunisia, un successo del Governo italiano – La guerra in Ucraina ha decisamente cambiato il quadro delle relazioni internazionali preesistenti.
L’Europa nel solco del ricordo dell’ostpolitik di Willy Brand risalente agli anni ’70, che con gli incontri di Pratica di mare (maggio del 2002) è stata rinverdita, aveva intrapreso un percorso di avvicinamento non solo politico alla Russia con un’integrazione economica e finanziaria sempre crescente nel tempo, ma a tutto vantaggio di Mosca che ha guadagnato enormemente da questi rapporti, dal 2001 al 2021 la prevalenza del surplus della bilancia commerciale sul saldo delle partite correnti è stato in media pari al 288 per cento, un’enormità.
In quel periodo le esportazioni dall’Unione europea verso la Russia sono state pari al 39 per cento delle importazioni russe, mentre quelle russe verso l’UE sono state pari al 47 per cento del totale. Se si considera che, grazie all’andamento complessivo dei rapporti con l’estero, la Russia, nel medesimo periodo, ha accumulato riserve valutarie pari a 566 miliardi di dollari, appare chiaro chi da questo rapporto ha maggiormente guadagnato.
Poco comprensibile, quindi, è stata la scelta di Putin di stravolgere un sistema di relazioni che aveva comportato un importante vantaggio finanziario per il proprio Paese.
Con l’invasione dell’Ucraina il confine nord dell’Europa è diventato ben più impervio della vecchia “cortina di ferro” che segnò gli anni più difficili del ‘900, con una prospettiva che ha enormemente accentuato l’importanza del fronte Sud, dando ai rapporti con il Mediterraneo ed i Paesi africani, soprattutto del nord Africa, una nuova centralità.
Negli anni passati i rifornimenti di gas dell’Italia dall’Algeria avevano avuto un ruolo fondamentale, nel 1999 costituivano il 59% del fabbisogno nazionale, contro il 39% di quelli dalla Russia, ma a partire dal 2010 vi fu un deciso cambio di rotta fino ad arrivare nel 2018 ad una percentuale del 48,40% per le importazioni da quest’ultima contro un 26,5% di quelle da Algeri.
Vi furono, poi, le primavere arabe e la generale crisi economica, che hanno messo in ginocchio l’intera area nordafricana.
Da quel momento l’economia di quei Paesi ha avuto un tracollo costante passando da un surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti pari al 14,4 per cento del Pil del 2006 ad un deficit pari all’8,2 per cento del 2016, di fronte ad un’indifferenza dell’Europa, che era troppo occupata a fare affari con la Russia.
Ciò, ovviamente, ha avuto e continua ad avere conseguenze importanti sull’occupazione finanziaria dell’area da parte della Cina (basti ricordare che il mercato del nord Africa ha per quest’ultima un valore di 28 miliardi di dollari) e di altri Paesi Brics e sul sempre più drammatico problema migratorio, che colpisce l’Europa tutta, ma in particolare in nostro Paese, conseguenze rispetto alle quali è assolutamente determinante intervenire.
In tale preoccupante quadro è da salutare con grande soddisfazione l’incontro tenutosi a Tunisi tra i presidenti Saied, Ursula von der Leyen, Rutte e Giorgia Meloni, la quale ultima appare essere la vera stratega e l’anima di tale nuovo corso europeo che sta dando certamente un’accelerata verso la strada iniziata, per la verità in modo ancora non ben definito, con il Global Gateway, programma che metterà in campo investimenti per 300 mld di Euro, nell’arco temporale fino al 2027, per progetti sostenibili e di alta qualità nei Paesi terzi, di cui 150 mld di Euro sono previsti per l’Africa.
L’Italia sembra aver riacquistato un ruolo centrale nelle scelte politiche europee, ruolo che senza dubbio merita avendo tutti i fondamentali per far sentire la propria voce e che dovrà garantire certamente il proprio interesse nazionale, ma nell’ampio quadro di un equilibrato rapporto con gli altri Paesi ed armonizzato, nella ragionevolezza, con il generale interesse comunitario, affinché “unita nella diversità” non si riduca ad uno sterile slogan.
Europa e Tunisia, un successo del Governo italiano
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