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Velo “imposto dal marito e dalla cultura”, la Procura fa marcia indietro e dispone nuove indagini

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burqa velo violenza - afghanista

La storia di Salsabila, costretta dal marito a indossare il velo integrale e sottoposta a gravi forme di violenza per anni: adesso sarà sentita dagli investigatori.

La Procura della Repubblica di Perugia fa marcia indietro e ritira la richiesta di archiviazione per un presunto caso di maltrattamenti in famiglia.

Il procuratore Raffaele Cantone ha diramato una nota in cui si afferma che “con riferimento al procedimento in oggetto, che nei giorni scorsi era stato oggetto di particolare attenzione mediatica per una frase estrapolata dalla richiesta di archiviazione relativa alla costrizione della denunciate a tenere il velo integrale, si rappresenta che, a seguito della presentazione dell’opposizione da parte della persona offesa, si è proceduto da parte del pm già designato alle indagini, la cui delega è stato confermata” dal procuratore, “alla revoca della richiesta di archiviazione”.

“Il provvedimento in questione è giustificato dalla necessità di effettuare ulteriori attività investigative, cui fa riferimento l’atto di opposizione, fra cui l’audizione della querelante”.

La donna aveva denunciato di essere stata maltrattata, chiusa in casa, a non incontrare nessuno e costretta ad indossare il velo. Velo che nella richiesta di archiviazione veniva sminuito: “La condotta di costringerla a tenere il velo integrale rientra nel quadro culturale, pur non condivisibile in ottica occidentale, dei soggetti interessati”.

Il procuratore Cantone si era dissociato: “Imporre il velo non può essere giusto nel nostro Paese che ha proprie regole. Che non sono certamente quelle della tradizione islamica”. Riservandosi di approfondire la vicenda. Cosa che è avvenuta, con tanto di marcia indietro e richiesta di audizione della parte offesa, la quale non aveva mai potuto imparare bene l’italiano, chiusa in casa dal marito, anche in forza di un “rapporto di coppia viene caratterizzato da forti influenze religiose-culturali alle quali la donna non sembra avere la forza o la volontà di sottrarsi”.

“Io non so cosa voglia dire la parola amore. Lui mi ha visto un giorno nel quartiere dove vivevo in Marocco, il giorno dopo si è presentato con sua madre alla mia famiglia per chiedermi in moglie. La mia famiglia ha accettato, così lui ha pagato una dote, ‘la sdak’, di cinquecento euro per sposarmi” ha raccontato la donna alla stampa, tramite un interprete.

I maltrattamenti sono praticamente iniziati da subito: “Mi insultava tutti i giorni, mi minacciava, mi obbligava a indossare il velo integrale. Guai se non facevo tutto quello che mi chiedeva all’istante. Non potevo parlare con nessuno, né uscire di casa, perché quando andava via per lavorare, mi chiudeva dentro. Parlavo al telefono con mia madre solo in sua presenza, perciò non potevo raccontarle nulla della mia situazione. Mi era proibito avere un’amica e accendere la tv. Quando era nervoso, mi urlava contro e mi tirava addosso qualunque oggetto avesse tra le mani”. Agli inquirenti, come si legge ancora su “Libero”, Salsabila ha rivelato che il suo ex marito le avrebbe tirato uno schiaffo in una sola occasione: quando, appena rientrata in casa dopo il parto, si sarebbe rifiutata di preparargli la colazione alle 4.30 del mattino: “Quello schiaffo mi è rimasto impresso perché mi è stato dato con particolare violenza, avevo appena partorito e avevo ancora i punti. Mi ha svegliato bruscamente all’alba, voleva che preparassi il caffè per lui e il fratello che viveva con noi in Italia. Ho avuto la guancia rossa e dolente, mi girava forte la testa e ho sofferto di disturbi all’orecchio, come ronzii continui per una settimana. Non potevo lamentarmene e sfogarmi con nessuno. In quei giorni, per recarmi un ulteriore danno, mi ha fatto saltare pure la visita di controllo dopo il parto. Inoltre, tutti i miei rapporti sessuali si svolgevano contro la mia volontà. Io non ho mai potuto scegliere”.

La donna è assistita dall’avvocato Gennaro De Falco.
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