Mondiali 2022, nonostante le promesse in Qatar i lavoratori continuano a morire

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Mondiali 2022 – Nel Paese del Golfo il governo annuncia riforme ma nonostante la sua abolizione la Kafala è ancora applicata. Intervista a Nicholas McGeehan, co-direttore dell’organizzazione per i diritti umani FairSquare.

L’edizione 2022 del Campionato mondiale di calcio che si terrà in Qatar a partire dal 21 novembre del prossimo anno è forse una delle più attese e controverse nella storia recente del torneo. Al pari di Expo 2020, attualmente in corso a Dubai, i Mondiali del 2022 saranno i primi disputati in un paese arabo del Medio Oriente e gli unici organizzati nella stagione invernale invece che nei tradizionali mesi di giugno e luglio, per evitare di esporre i giocatori alle roventi temperature estive.

Il Qatar ha speso 200 miliardi per le strutture

Si stima che dal 2010, anno della contestata assegnazione dei Mondiali del 2022, alla finale che si disputerà il 18 dicembre 2022, il Qatar avrà speso circa 200 miliardi di dollari per la realizzazione di strutture ricettive, sistema di trasporti e otto magnifici stadi (di cui sette costruiti interamente da zero) in cui verranno disputate le partite. Nella spesa finale non è però conteggiato il costo umano di oltre due milioni di lavoratori migranti che hanno consentito ad un Paese di soli 313.000 abitanti (contando solo i cittadini) di poter sostenere l’onere di organizzare uno degli eventi sportivi più importanti e costosi al mondo dopo le Olimpiadi.

Intervistato da TempiNicholas McGeehan, co-direttore e fondatore di FairSquare, organizzazione per i diritti umani con sede nel Regno Unito, ricorda che «la situazione dei lavoratori migranti in Qatar e in altri paesi del Golfo resta particolarmente drammatica». In questi anni l’organizzazione guidata da McGeehan ha condotto innumerevoli ricerche sulla situazione dei lavoratori migranti in Qatar e nei paesi del Golfo. I migranti, ricorda McGeehan, «sono originari prevalentemente dall’Asia del sud e dell’Africa orientale», e il sistema in cui vengono reclutati consente ai datori di lavoro di esercitare «un fortissimo controllo che viola i diritti fondamentali e la possibilità di organizzarsi con il risultato che sono costretti a lavorare molte ore al giorno, esposti ad abusi e in ambienti malsani».

Tempi

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