Cassazione nega riconoscimento a un padre: la sua “cultura” sottomette le donne

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La Suprema Corte ha negato il riconoscimento a un padre: “Ai fini del riconoscimento, per tutelare l’interesse del minore, occorre dare la giusta rilevanza all’abituale condotta violenta e prevaricatrice del padre biologico nei confronti della madre e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere”. 

È una sentenza storica la n. 18600 da parte della Cassazione, che ha negato ad un padre naturale egiziano musulmano, M. A. H., la possibilità di riconoscere la figlia avuta da una donna italiana, F.V. di Raffadali, a cui aveva persino chiesto di abortire e con cui era stato violento. Lo era anche con la bambina.

Voleva riconoscerla allo scopo di portarla in Egitto e farla educare dalla propria madre da “buona musulmana”. La Corte d’Appello di Venezia aveva deciso per il riconoscimento, ma la Cassazione ha accettato il ricorso dell’avvocato della donna, Arnaldo Faro, stabilendo che non fosse nell’interesse della minore. La “cultura” del padre biologico (che tra l’altro, benché musulmano, è diventato padre con rapporti fuori dal matrimonio!) è violenta e basata sulla sottomissione della donna. L’uomo, ha detto il procuratore generale, ha assunto “una condotta violenta e prevaricatrice nei confronti della madre (della bambina, ndr) e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere.”

Ciò è stato (fortunatamente) ritenuto di maggior importanza rispetto alla “verità biologica” che garantisce il diritto al riconoscimento (art. 30 della Costituzione) e la Corte d’Appello è stata invitata a rivedere le sue posizioni, che avrebbero compromesso “lo sviluppo psicofisico della minore”, violando la Convenzione del Consiglio d’Europa inerente alla prevenzione e lotta contro la violenza domestica (fisica, sessuale, psicologica ed economica). La sentenza della Cassazione costituisce un meraviglioso precedente o almeno lo speriamo!

Di Alessandra Boga

 

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