Arrivano in Italia i “Diari dal Carcere” dell’attivista iraniana Sepideh Gholian

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Sepideh Gholian

Sepideh Gholian, 25 anni, è una giornalista ed attivista iraniana finita carcere nel 2018, per essersi occupata di uno sciopero di lavoratori nella raffineria di zucchero Haft Tapeh a Sush, città Iran sud-occidentale (tra l’altro zona ricca di storia).

Oggi Sepideh è detenuta nella prigione di Bushehr e nella primavera dell’anno scorso era stata in grado di far uscire i suoi diari dalla prigionia, che poi le erano costati un processo con l’accusa di aver diffuso “propaganda e falsità”. Quelle pagine, già tradotte in inglese oltre che in persiano, saranno molto presto pubblicate anche in italiano col titolo “Diari dal Carcere” da Gaspari Editore, casa editrice di Udine, nell’ambito di un progetto patrocinato da “Amnesty Italia” e realizzato dall’associazione “Librerie in Comune” in collaborazione con il Festival “Vicino/lontano”, che si terrà nel capoluogo friulano da giovedì 1° luglio a domenica 4. La prefazione del libro di Sepideh è stata scritta da Emanuele Russo, presidente della sezione italiana di “Amnesty International”, e la pubblicazione del lavoro è sostenuta da un crowfunding sul sito ideaginger.it.

Ciò che dice Sepideh è veramente scioccante: racconta per esempio che i detenuti vengono picchiati da mezzogiorno fino alle 10 di sera e che teme di non riuscire a sopravvivere. “Dire che sono terrorizzata non basta davvero a esprimere ciò che provo. Sento qualcosa di caldo fuoriuscire dal mio corpo. Resto completamente muta, persino quando mi picchiano non riesco neppure a gemere.”

Ancora: “L’Iran è una prigione a cielo aperto. Non fa più differenza che una persona sia in prigione oppure no, il solo fatto di vivere in Iran ci rende prigionieri”; “Se mi guardo alle spalle vedo una tempesta di catastrofi che ormai si estende su ogni lembo di terra dell’Iran”.

“… Sto tremando, e imploro che mi lascino vedere una guardia donna, ma in risposta mi urlano: «Una donna, e perché? Qui dentro ci muori». Sono circondata solo da voci maschili, e questo mi fa tremare ancora di più. Mi portano da qualche parte, ignoro dove. Mi danno un cambio di vestiti, «Va’ dentro e cambiati i vestiti». È una vecchia e sporca uniforme blu scuro, così grande che sono costretta a tenere su i pantaloni con la mano. La mia perdita di sangue è molto intensa. È da stamattina che mi stanno insultando. Ho paura di chiedere degli assorbenti. Ho paura di essere insultata e picchiata di nuovo”.

E ad un altro arrestato, il quale le ha detto che stavano uccidendo tutta la sua famiglia e li accusavano di essere membri dell’Isis, Sepideh ha risposto: “Oggi l’ho visto, l’Isis. Sono loro l’Isis, non tu”.

Nonostante tutto Sepideh non ha perso la voglia di lottare e si augura che la sua testimonianza “spalanchi nuove e più grandi finestre alle mie sorelle di lotta e che porti il loro grido fino alle orecchie delle donne italiane”.

Intanto, però, è appena diventato presidente iraniano con la larghissima estensione dei votanti di cui ci hanno informato i media, Ebrahim Raisi. La nota attivista Narges Mohammadi, 49 anni, candidata al Premio Nobel per la Pace, vicina a Shirin Ebadi, vincitrice del prestigioso riconoscimento nel 2004, condannata a 30 mesi di reclusione e 80 frustate per “diffusione di propaganda”, “diffamazione” e “ribellione contro le autorità penitenziarie” per aver denunciato il direttore del carcere di Evin, dov’era stata detenuta, in una recente intervista all’AGI ha sottolineato come Raisi sia “uno dei più gravi violatori dei diritti umani in Iran”. Anche “Amnesty International” ha chiesto di indagare su di lui per gli assassini di migliaia di detenuti politici alla fine degli Anni Ottanta. Si parla soprattutto del 1988.

Oltre alle innumerevoli e tremende violazioni dei diritti umani, l’Iran soffre di una grave crisi economica e di corruzione in tutti i settori, ha spiegato Narges, e certamente le proteste (condizionate negli ultimi due anni anche dalla pandemia) continueranno.

Di Alessandra Boga

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