La rissosa maggioranza che ci governa ha trovato la quadra sulla giustizia per evitare tentazioni di sfiducia da parte di chicchessia. Non avevo dubbi visto l’istinto di conservazione, ma certamente si tratta di un compromesso al ribasso dove ognuno tenta di attribuirsi una vittoria, ma che non mi appare risolutivo rispetto agli atavici problemi di efficienza, compromesso che si è concentrato principalmente sul tema, diventato ideologico, della prescrizione che costituisce una patologia del sistema, non certo un aspetto fisiologico.
Sicuramente più incisivi sono i quesiti referendari, sui quali si stanno raccogliendo le firme e che hanno come loro punto di forza l’intervento sulla separazione delle carriere tra giudicanti (Giudici) ed inquirenti (Pubblici Ministeri), sulla responsabilità diretta dei magistrati e sulle modalità di elezione del CSM.
Ecco su quest’ultimo punto estremamente importante, sul quale, però, l’intervento referendario non avrebbe grande incisività, vorrei soffermarmi, dando un suggerimento forse fantasioso, forse utopistico, ma neanche troppo.
Come noto il grande problema nell’elezione dei membri del CSM, evidenziato dai vari recenti scandali correntizi che hanno riempito i giornali, è assicurare la rappresentatività delle funzioni della magistratura e dell’avvocatura nonché un’inattaccabile indipendenza dell’Organismo, evitando il formarsi delle cordate tra i membri togati e consorterie che minino un corretto e trasparente funzionamento.
Il nodo potrebbe essere sciolto guardando all’esperienza dell’elezione dei Dogi della Repubblica di Venezia.
Essa, per l’elezione del Doge, a partire da 1268 e sino alla sua caduta, si dotò infatti di un articolato sistema di elezione di personaggi che erano a propria volta elettori e che, a partire dal Consiglio Maggiore, prevedeva la formazione di gruppi di eletti, anch’essi integrati e ridotti per cooptazione o per estrazione a sorte, formando nuovi nuclei elettorali fino all’ultimo di 40 che eleggeva il Doge, attraverso una procedura che tendeva ad assicurarne l’indipendenza da legami familiari e di fazione.
Ovviamente di tale sistema si deve considerare lo spirito e non le modalità, eliminando le estrazioni a sorte.
Con tale spirito sarebbe ipotizzabile una procedura che preveda, in una radicale riforma riequilibratoria, tre livelli di elezione e, precisamente, un primo livello in cui tutti i giudici eleggerebbero 40 rappresentanti, a candidatura libera, tra tutti i magistrati che abbiano un’adeguata esperienza, ad esempio 10 anni di esercizio, ed assenza di provvedimenti disciplinari.
Lo stesso farebbero gli avvocati che, votando presso i propri Ordini, eleggerebbero 40 avvocati sempre a candidatura libera tra tutti gli avvocati che abbiano un’adeguata esperienza, ad esempio anch’essi 10 anni di esercizio e assenza di provvedimenti disciplinari.
Nel successivo secondo livello di votazione, gli avvocati eleggerebbero i 16 membri togati tra i 40 giudici designati e i giudici eleggerebbero gli 8 membri non togati, tra gli avvocati designati.
Se si volesse dar peso diretto alla volontà del Popolo italiano, il Parlamento in seduta comune potrebbe eleggere un numero minoritario di membri, espressione della volontà politica, ad esempio 4, ma pur sempre espressione dei diretti interessati scegliendoli tra i membri non eletti dei rappresentanti dei giudici e degli avvocati.
Resterebbero i membri di diritto, il cui numero, per un riequilibrio delle diverse funzioni giudicanti e dell’Avvocatura pubblica, potrebbe essere ampliato, con l’inserimento dei presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti nonché dell’Avvocato Generale dello Stato.
In tal modo, potrebbero essere evitati quei legami e quelle consorterie, scoperti grazie al caso Palamara, ed il CSM avrebbe un maggior livello di prestigio ed autonomia.
Forse sogno, ma lasciatemelo fare.