Ubuntu e le sabbie mobili dell’io debole

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ubuntu - francesc barone
Ubuntu e le sabbie mobili dell’io debole
In Africa, il concetto secondo cui una persona è tale attraverso altre persone, ha un fondamento altamente sociale, etico e religioso. È la parola ubuntu che meglio di altre definisce l’individuo in termini di relazione. Ubuntu è il principio secondo cui si cura il benessere di ciascuno, uno spirito di mutuo soccorso, di reciprocità.
Purtroppo, tale concetto appare sempre più in crisi, infatti, è evidente la sproporzione tra la parte di vita umana garantita e potenziata ben al di là dei suoi bisogni e la parte di vita umana “condannata alla sofferenza” per fame, sete, violenze, malattie e guerre. In molte zone del mondo, la costrizione a rimanere in silenzio si accosta al mancato soddisfacimento dei bisogni più elementari.
Porre l’accento su questo argomento, significa richiamare l’attenzione su una nuova e possibile concretizzazione del discorso sui diritti. Significa prendere in esame non solo la logica
funzionale dei diritti, ma assumere responsabilità di fronte alle numerose forme di disuguaglianze e vulnerabilità. Non è più sufficiente proclamare la dignità umana, come spesso accade nei documenti ufficiali e nelle dichiarazioni internazionali, in cui il rischio è quello di limitarsi ad esaltare in via normativa il valore delle persone a livello universale. Bisogna partire, invece, dalla constatazione realistica per cui in gran parte del pianeta, gli esseri umani non sono ancora considerate persone e viceversa.
Nell’epoca dove i tempi sono velocizzati, tutto è di corsa, prendersi il proprio tempo è un’impresa ardua a causa dei nuovi mezzi tecnologici che ci fanno vivere in un mondo di spontaneità immediata, ma la relazione tra le persone richiede tempo. Prendersi del tempo significa non “incalzare” non “andare di fretta”, ma prendere in mano il tempo, gestirlo e padroneggiarlo.
Pertanto, appare evidente che è importante non insegnare solamente la conoscenza dei diritti e della loro storia, ma aiutare i giovani ad apprezzare il valore di questi diritti, a distinguere i diversi modi in cui sono rispettati nelle varie comunità di cui gli studenti sono parte, e attrezzarli ad agire per la loro realizzazione. Insegnare a comprendere l’importanza dei diritti umani e ad agire su questa comprensione è la pietra miliare per una civiltà globale di pace. Come viene affermato nella prima frase della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, “il riconoscimento della dignità e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
Questo richiede empatia verso gli altri con diverse identità, comprensione dei diversi flussi di civiltà e capacità di vedere queste differenze come opportunità per relazioni costruttive, rispettose e pacifiche tra le persone. I mutamenti politici e sociali che caratterizzano la nostra modernità, chiedono a chi opera nel campo dell’educazione e della formazione di attivare strategie per abituare i giovani alla capacità di pensare in relazione con la complessità delle esperienze che la società moderna propone.
Gli studenti devono vivere i loro diritti umani e le scuole devono agire attraverso la realizzazione di esperienze significative nella pratica della tolleranza. Per questo diviene essenziale il processo di educazione indirizzato alla solidarietà sociale che, ovviamente, non può essere circoscritta al campo d’azione della famiglia e della scuola, ma deve estendersi a tutto il mondo. La formazione del soggetto, dunque, dovrebbe essere incentrata su categorie valoriali essenziali, partendo dal rispetto della persona umana oltre che sul confronto critico e consapevole con la realtà.
A tale proposito, l’Africa costituisce una fonte inesauribile di insegnamenti, soprattutto dal punto di vista della gerarchia dei valori, infatti, nel riconoscere l’esistenza di più Afriche, è necessario riconoscere che le diverse civiltà del continente, presentano tratti comuni da cui si possono trarre lezioni universali. Uno di questi risiede nel posto centrale accordato ai valori relazionali, alla coesione sociale e ai valori non materiali.
In questo mondo, dove tutto sembra apparentemente e incessantemente connesso, noi siamo isole, segregate dietro muri di indifferenza, ciechi a ciò che è altro da noi, impegnati
quotidianamente a cercare capri espiatori. Deviamo la nostra rabbia, le nostre frustrazioni su soggetti vicari. Schiviamo e accusiamo la miseria, la sofferenza negli occhi altrui perché ci ricorda in maniera palese e spaventosa quanto sia imprevedibile il nostro destino, quanto siano labili gli equilibri del nostro modo di vivere, delle nostre apparenti certezze.
Il rischio principale consiste nella determinazione di una forma di imprigionamento che ci porta al consolidamento di un’immagine univoca dell’uomo, nella quale pretendiamo di includere tutta la realtà, convincendo ci di racchiudere l’umanità in noi stessi. L’uomo contemporaneo rischia così di diventare preda delle “sabbie mobili dell’io debole”, le stesse che ci costringono a ricercare costantemente l’approvazione altrui, mentre disconosciamo gli altri.

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