LA NOSTRA IDENTITÀ GARANZIA DI FUTURO di Giorgia Meloni

13 mins read
meloni - futuro - identità - minacce - donne

LA NOSTRA IDENTITÀ GARANZIA DI FUTURO
di Giorgia Meloni

«Chi controlla i bambini controlla il futuro». È uno dei passaggi centrali, tra i più inquietanti ma anche tra più importanti, di Sottomissione, il romanzo di Michel Houellebecq che nel 2014 si è rivelato come il pugno sullo stomaco, quanto mai salutare, nel dibattito asfittico e falso sull’Islam e il suo rapporto
con l’Europa.
Già, è stato necessario l’intervento shock di uno scrittore anticonformista e “visionario” (ma in realtà lucidissimo e attento alla prossimità) per trovare veicolato su un mezzo di comunicazione di massa – il romanzo è diventato un best-seller, non solo per la “coincidenza” della sua uscita con la strage
di Charlie Hebdo ma proprio per la forza escatologica del racconto – un passaggio di verità sulla strategia di penetrazione reale dell’Islam, nello specifico quello salafita delle monarchie del Golfo, nella nostra patria continentale.
Voglio sottoporvi un passaggio. Poche righe ma divinatorie: «Non mettono al centro di tutto l’economia – il riferimento è ai leader dell’immaginario partito della Fratellanza musulmana in trattativa con la sinistra francese per battere alle elezioni presidenziali del 2022 il candidato della destra -. Per loro l’essenziale è la demografia, e l’istruzione; il sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che riesce a trasmettere i propri valori, trionfa; per loro è tutto qua, l’economia e la stessa geopolitica non sono che fumo negli occhi: chi controlla i bambini controlla il futuro».
Altro che distopia o fantapolitica. Si tratta della fotografia di ciò che il “Rapporto annuale sull’islamizzazione d’Europa” che avete tra le mani ha analizzato, decrittato e sistematizzato: la sopravvivenza di una civiltà è legata prima di ogni altra cosa al tasso di natalità e al sistema di valori che
grazie a questa riesce a trasmettere.
E cosa dicono i dati? Che una donna musulmana, qui in Europa, ha un tasso un tasso di fertilità superiore, il doppio, di quello di una donna non musulmana. Se i flussi migratori dei musulmani nel Vecchio Continente dovessero proseguire al ritmo di come li abbiamo conosciuti negli ultimi
anni? Tra soli trent’anni gli islamici in Europa saranno più che raddoppiati: si parla della percentuale clamorosa di incremento del 125%. E a quel punto chi “controllerà” il nostro futuro? Con quale scala di valori? E in nome di quali istituzioni?
Ecco, noi speriamo invece che nessuno controlli alcuno: né un governo “multinazionale” né una holding islamista. Lo speriamo proprio nel nome di quei valori – uguaglianza e democrazia – che un certo storicismo crede inevitabili, che Francis Fukuyama ottimisticamente indicava come «fine
della storia», ma che in realtà appartengono a quella dimensione complessa, alimentata da una precisa direttrice, che conosciamo organicamente soltanto come e nella civiltà occidentale.
Ecco perché l’argomento dell’islamizzazione dell’Europa ci interessa in maniera specifica e problematica e su questo abbiamo predisposto, accanto e a sostegno della battaglia politica, un serrato e attrezzato dibattito scientifico e accademico. Perché temiamo che la “profezia” di Houellebecq, se l’Europa, e l’Italia per ciò che ci riguarda da vicino, non deciderà di disporre politiche e strumenti per preservare se stessa, possa tramutarsi inevitabilmente in realtà.
A fronte di un disinteresse “complice” da parte della narrazione ufficiale, ci interessa eccome studiare e denunciare il rischio dell’islamizzazione perché la difesa del nostro “futuro”, la sua stessa possibilità, è intimamente connessa alla salvaguardia del nostro “passato”. Proprio così: tutto ruota attorno alle radici, la cui preservazione – credetemi – tutto è tranne che un fatto “archeologico”. L’identità europea – attraversata e permeata da due sostrati, classico, inteso come greco-romano e giudaico, e cristiano – si
impone infatti come entità viva principalmente per due elementi caratterizzanti di natura filosofica, identitaria, più che religiosa, che la distinguono da tutte le altre.
Il primo è la laicità dello Stato; per il banale motivo che la separazione fra i “poteri” è contemplata fin nei testi sacri della cristianità, alla ricerca di un’armonia che ha sempre interrogato il pensiero politico europeo e italiano su tutti, come dimostra il De Monarchia di Dante Alighieri che considerava
“due soli”, l’Impero e la Chiesa, come «duplice guida, in relazione al duplice fine; e cioè il Sommo Pontefice, che conducesse il genere umano alla vita eterna secondo la Rivelazione, e l’Imperatore, che dirigesse il genere umano alla felicità temporale secondo gli insegnamenti della filosofia».

Il secondo grande elemento è proprio questo, il rapporto dinamico tra fede e ragione come dispositivo per la formazione dell’identità europea. È ciò che emerge dal grande dibattito (condito da polemiche e da attacchi strumentali) che suscitarono le parole di Papa Benedetto XVI nella celebre lezione di Ratisbona. Proprio l’incontro fra fede biblica e logos, come spiegò in quell’occasione fondamentale il Papa emerito, «al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa» e «rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa».
Dall’altro lato, invece, la religiosità islamica non solo per sua natura è trascendente, non solo nel Corano non è concepita la separazione fra fede ed entità statuale (e nella guerra civile interna all’Islam vengono combattute dall’Isis guarda caso proprio quelle Nazioni, come la Siria, legate al socialismo arabo e quindi di impronta laica) ma in alcuni Stati – come l’Arabia Saudita – la sharia addirittura rappresenta in toto la “Costituzione”.
L’Europa, dunque, è plasticamente tutt’altro che un’espressione geografica. È un’identità determinata dalla sintesi dei propri connotati di origine: ed è su questa che poggia la sua sinderesi. Se perde ciò,
semplicemente, non è più Europa. Potrà essere “riempita” da altro. Potrà tramutarsi in un contenitore. Ma non rappresenterà mai più la stessa formula; e soprattutto non svelerà più lo stesso contenuto.
L’osservazione che viene fatta a questo punto, molto spesso a opera di decostruzionisti celati e tutt’altro che disinteressati, è nota: tutto questo potrebbe non rappresentare un problema qualora avvenisse la piena integrazione dell’Islam in Europa. Tradotto: se gli immigrati diventano cittadini europei di formazione ma di religione islamica il nodo è sciolto. Una sorta di pantheon 2.0.
È così? Ingegneria (virtuale) sociale a parte, tutta la discussione riguardo a un Islam “europeo”, quello che risolverebbe a monte il problema dell’integrazione, a oggi si scontra con il dato della realtà.
Quale? I due principali punti di riferimento del proselitismo islamico nel mondo – il Qatar e l’Arabia saudita –, anche se in serrata competizione fra loro, sono anche quelli che svolgono da anni in modo scientifico e articolato la più grande azione di penetrazione religiosa e culturale straniera in
Europa. Non solo tramite il finanziamento di moschee, di centri islamici, di associazioni culturali ma anche puntando dritto al cuore delle élite e dei suoi interessi economici, attraverso l’esercizio del cosiddetto soft power. Un esempio facilmente intellegibile arriva dalle sponsorizzazioni dei più importanti club di calcio europei – con una copertura delle principali capitali (Roma, Madrid e Parigi) – che scendono in campo con i colossi e le compagnie di bandiera del mondo arabo sul petto.
Incredibile il caso del Real Madrid, con il club – sponsorizzato da Fly Emirates – che ha scelto anni fa, come vero e proprio atto di “sottomissione” dissimulato dall’opportunità di marketing, di celare la propria identità togliendo la croce dalla parte sommitale del simbolo della squadra per la
vendita delle magliette negli Stati arabi: tutto questo per “non turbare” la sensibilità dei supporter di religione islamica. La stessa scelta, vergognosa e ben più scellerata, che il governo Renzi fece ai Musei Capitolini, nascondendo con le tendine le nudità dei capolavori dell’arte italiana per non disturbare la vista del presidente iraniano Rohani.
L’OPA ideologica araba nei confronti dell’Europa non si esaurisce di certo sul rettangolo di gioco. Ancora più pernicioso è lo “shopping finanziario” di aziende e assetti nazionali a opera dei ricchissimi fondi sovrani delle petrolmonarchie: lo vediamo dagli hotel di lusso a Roma a palazzo Turati a Milano passando per le filiali italiane della Deutsche Bank e del Credit Suisse e così via.
Ciò ha fatto sì che il cosiddetto Islam europeo, tanto nella sua veste istituzionale (la Grande Moschea di Roma sorta e sostenuta dai sauditi, ha avuto fino a qualche tempo fa l’ambasciatore dell’Arabia Saudita come presidente del Consiglio di amministrazione) quanto in quella “comunitarista”, sia interamente un Islam che fa riferimento alle dottrine più integraliste provenienti dai Paesi del Golfo.
Il risultato? Un’Europa non solo vittima dell’attacco “nichilista” del terrorismo islamista di prima e seconda generazione – che ha prodotto 729 morti e quasi cinquemila feriti – ma un continente che è diventato a sua volta centrale di formazione e destabilizzazione internazionale.
Come ha avuto modo di verificare e denunciare Soud Sbai, presidente delle donne marocchine in Italia, il fenomeno ha assunto forme pericolose anche per le stesse Nazioni del Nord-Africa e del Medioriente. Un dato indicativo e sorprendente, infatti, è quello testimoniato da Stati con un Islam
moderato e abituato al confronto con l’Europa, come Tunisia e Marocco.
Negli ultimi anni è accaduto un fatto preoccupante: che cittadini tunisini e marocchini si siano radicalizzati proprio in Europa, tornando in patria poi a “praticare” integralismo religioso e politico. Tutto questo sotto gli occhi pigri, quando non complici, delle istituzioni europee.

Prima parte da Report islamizzazione 2019

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Latest from Blog