In Marocco il Natale è nel segno del dialogo

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Marocco – I giorni della festa con gli auguri degli “amici” musulmani e la loro preghiera. Il cardinale López Romero: la paura dell’islam non è giustificata. E si vince con la fraternità.

Con le sue due torrette e gli spigoli vivi, la Cattedrale di Rabat è un punto di riferimento nello skyline della capitale del Marocco. Di un bianco intenso che riflette il sole, mescola art déco e rimandi orientali. E non solo si trova in uno snodo della città, quella che oggi è Place Al-Joulane, ma è di per sé un “crocevia” di convivialità. Anche a Natale. Una solennità che «chi ci conosce bene e vive in armonia con noi, come molti fratelli musulmani, sa quanto sia importante per i cristiani: ecco perché questi nostri amici ci inviano messaggi di auguri o ci ripetono “Buon Natale”. E non solo. In alcuni casi c’è anche chi partecipata alle nostre celebrazioni», racconta il cardinale Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat.

Si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio il secondo incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei che porterà in Toscana i vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare in rappresentanza di tre continenti (Europa, Asia e Africa). Al centro dell’incontro, ispirato alle intuizioni del “profeta di pace” Giorgio La Pira, il tema della cittadinanza letta alla luce della fraternità fra i popoli in un’area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni. Assieme ai vescovi, arriveranno a Firenze i sindaci delle città del Mediterraneo per un forum “parallelo”. Il doppio appuntamento sarà concluso da papa Francesco domenica 27 febbraio con la sua visita a Firenze.

Salesiano, 69 anni, originario dell’Andalusia in Spagna, è una “porpora del dialogo” con l’islam per volontà di papa Francesco. «La paura nei confronti del mondo musulmano non è giustificata – spiega –. E si vince con la cultura dell’incontro, con il contatto diretto che aiuta ad abbattere gli stereotipi e i pregiudizi purtroppo molto diffusi e radicati». Il cardinale ha già dato la sua adesione per partecipare all’Incontro dei vescovi del Mediterraneo per la pace che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio e che sarà affiancato dal forum dei sindaci delle città del bacino.

Il presepe è illuminato nella Cattedrale di Rabat dove un manifesto ricorda che è iniziato lo speciale Giubileo per i cento anni di fondazione della chiesa-madre. Il rumore della metropoli si assottiglia fra le navate. Il termometro segna 20 gradi. E sarà lo stesso valore che indicherà il 25 dicembre. «Qui il giorno della Natività sarà simile agli altri: un normale giorno di lavoro e studio. Chiuderanno soltanto i nostri centri o le nostre scuole cattoliche: sono una dozzina e accolgono più di 10mila studenti», riferisce López Romero. Eppure qualche cartello o qualche decorazione luminosa rimanda al Natale anche in un Paese “tutto” musulmano dove l’islam è di stampo moderato e il re Muhammad VI uno sceicco illuminato. «Persino sui media se ne parla, ma tutto è legato alla dimensione commerciale e folcloristica del Natale che crea una certa atmosfera ma solo superficiale», sottolinea il cardinale.

E nelle giornate della festa continuerà a farsi sentire l’eco di Charles de Foucauld, l’apostolo dell’abbraccio con l’Africa profonda che il prossimo 15 maggio sarà proclamato santo. La profezia di fraternità universale, che il religioso francese aveva testimoniato anche in Marocco dove ha vissuto per un anno prima di stabilirsi nel deserto dell’Algeria in cui sarebbe stato ucciso nel 1916, ha segnato il cammino della locale arcidiocesi per interi mesi. A fare da filo conduttore una frase che lui aveva scritto a Béni Abbès, l’“oasi bianca” dove aveva fondato un romitorio per i poveri: «Sono il loro fratello, il fratello di tutti gli esseri umani senza eccezioni e distinzioni». «La Chiesa del Marocco è Chiesa di comunione, di incontro e di dialogo rispettoso: questa è la sua vocazione», riferisce López Romero. Da qui l’invito a «costruire un mondo di fratelli dove ciascuno si senta parte dell’unica famiglia umana». Una pausa. «C’è bisogno di cambiare il cuore per essere tutti più accoglienti», aggiunge il porporato riferendosi anche al fenomeno migratorio. Una questione che si tocca con mano anche in Marocco, testa di ponte verso la Spagna che più volte ha blindato i suoi confini per respingere chi giunge dall’Africa.

Eminenza, il Natale richiama all’accoglienza. Ma ha detto papa Francesco nella sua recente visita a Lesbo che il Mediterraneo è ormai un «un freddo cimitero senza lapidi» e ha chiesto di fermare il «naufragio di civiltà».

Occorre una rivoluzione di mentalità. Serve far rispettare le leggi economiche e commerciali internazionali, affinché ciascuno Stato possa svilupparsi ed essere in grado di offrire opportunità di vita e di lavoro ai propri cittadini in modo tale che non siano costretti a emigrare. È necessario, poi, che ogni Paese sia aperto all’ospitalità, regolamentando gli afflussi ma soprattutto rendendoli possibili. Inoltre è urgente porre fine alla fabbricazione e al commercio delle armi, affinché regni la pace e i problemi si risolvano confrontandosi e non sparando.

L’Europa alza muri contro chi fugge da guerre, violenza, miseria.

Le misure pragmatiche a breve termine, come i respingimenti da parte delle forze dell’ordine o le espulsioni coatte, non sono certamente soluzioni a una fattispecie così complessa alla cui radice c’è sempre la disuguaglianza sociale ed economica globale.

La Chiesa cattolica in Marocco è piccolissima: meno di 30mila fedeli su una popolazione di 31 milioni di abitanti.

Sì e siamo tutti immigrati, stranieri. Ma la Chiesa vuole essere marocchina, incarnata nel Paese, inculturata nella realtà storica e geografica della nazione. I cattolici “irregolari”, ossia privi di documenti, sono una minoranza nella minoranza: perché desiderano andare altrove. Ben più numerosi gli studenti universitari subsahariani, anch’essi migranti per motivi di studio.

A Firenze si parlerà del rapporto fra Chiesa, società e istituzioni politiche. C’è parità di diritti in Marocco?

Il Paese ha firmato e ratificato i principali accordi internazionali in materia di diritti umani dove si contempla anche la libertà religiosa. E queste disposizioni sono valide in Marocco. Un’altra cosa è tradurre il bagaglio giuridico-legale in modelli di comportamento sociali e culturali che corrispondano a quanto stabilito dalle leggi. In questo caso la strada da percorrere è lunga.

La Chiesa in Nord Africa è segnata da persecuzioni e martirio.

Certamente; ma né più né meno come le Chiese del Medio Oriente, dell’America Latina o di diverse nazioni dell’Asia. La presenza di persecuzioni e martiri in una Chiesa indica che siamo sulla buona strada, che ciò che Gesù aveva già annunciato si sta realizzando. I martiri sono testimoni autentici del Vangelo e dell’amore. Sono anche garanzia di autenticità e dimostrazione di generosità, oltre che «semi di nuovi cristiani».

Come leggere il Documento di Abu Dhabi che sollecita a un rapporto nuovo fra cristiani e mondo islamico?

Questo meraviglioso documento non è rivolto solo a cristiani e musulmani, ma al mondo intero. In Marocco, e in Nord Africa in generale, la fraternità universale parte dall’incontro con l’islam. Un dialogo che si concretizza nella vita quotidiana, nelle relazioni interpersonali, nel buon vicinato, nel lavorare insieme a favore delle grandi cause che investono il pianeta e nella condivisione dell’esperienza di Dio e della preghiera. Ci sono molti esempi proficui, ringraziando il cielo.

Le migrazioni impoveriscono l’Africa?

L’Africa è già così impoverita che è difficile impoverirla ulteriormente. La fuga di persone ben preparate ha effetti negativi a lungo termine sui Paesi. È una vergogna ma anche un’ingiustizia che in Francia ci siano più medici senegalesi che in Senegal. Accade comunque che le comunità etniche presenti in Europa inviino risorse e rimesse nelle nazioni di provenienza. Talvolta questo denaro costituisce un significativo contributo all’economia locale. Ma aggiungo subito che è «pane di oggi e fame di domani»

Gli effetti del Covid in Africa sono pesanti. Il Papa ha spronato all’equa ripartizione dei vaccini. Vanno assicurati i vaccini a tutti?

Grazie a Dio e al lavoro delle autorità marocchine, qui i vaccini non sono mancati. Sono state iniettate quasi 50 milioni di dosi coprendo, a fine novembre, il 70% della popolazione. Io stesso ho ricevuto tre dosi. Ma bisogna riconoscere che il Marocco è un’eccezione nel continente dove la maggior parte degli Stati è molto indietro. E anche qui purtroppo constatiamo come prevalga l’egoismo dei Paesi ricchi che hanno accumulato enormi qualità di dosi ignorando le necessità dei poveri. Le Nazioni Unite, con il sostegno di tutti, avrebbero potuto favorire una distribuzione dei vaccini con criteri egualitari e sociali: ma non lo ha fatto ed è l’ennesima occasione persa. Ancora una volta si è rivelata l’impotenza dell’Onu di fronte al potere dei Paesi più influenti che rasenta la quasi inutilità dell’organismo.

In Africa sono in campo potenze straniere che stanno colonizzando il continente. La pace passa dallo sviluppo?

Lo sviluppo economico, sociale e culturale è una delle condizioni necessarie per la riconciliazione fra i popoli. Tuttavia deve esserci uno sviluppo interno, a partire dalle proprie risorse, e magari con un supporto esterno, ossia degli Stati “amici”. Certe presenze in Africa hanno provocato solo saccheggi e sfruttamenti, non vero progresso. Anche in questo caso l’Onu dovrebbe stabilire le regole del gioco per evitare che prevalga la logica del più forte.

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