8 marzo: un omaggio a donne arabe e/o musulmane coraggiose che si sono distinte nell’ultimo anno

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Alessandra Boga

Oggi è la Giornata Internazionale della Donna. Vogliamo celebrare o ricordare alcune donne arabe o di origine araba che in quest’anno difficile si sono distinte (anche loro malgrado) in qualche modo. Come non citare per prime quelle che, lavorando in ambito medico, hanno perso la vita lottando contro il COVID –19?

In Italia c’è stata per esempio la dottoressa di origine siriana Samar Sinjab, 62 anni, che aveva il suo ambulatorio a Borbiago, frazione di Mira, in provincia di Venezia. Aveva dovuto smettere di lavorare il 6 marzo 2020 dopo aver assistito con amore i pazienti, dai quali era molto stimata, e si è spenta pochi giorni dopo, il 9 aprile, all’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso, diventando la 100° vittima del Coronavirus tra i medici.

Si era laureata in Medicina e Chirurgia all’Università di Padovanel 1994, per poi specializzarsi in Medicina Generale.

Anche il marito Omar El Mazloum era medico e lo sono i loro figli Rafi (che ora sostituisce la madre, con cui collaborava) e Dania. Cordoglio per la scomparsa di Samar è stato espresso anche dal sindaco di Mira, Marco Dori, e dalla Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) del Veneto, che in una nota ha sottolineato che “la collega … nonostante avesse importanti fattori di rischio, ha continuato ad assistere i suoi pazienti con dedizione.”

Qualche settimana fa abbiamo “conosciuto” Zakia Seddiki, moglie del giovane Ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in un attentato a Goma, in Congo, il 22 febbraio scorso. Zakia, originaria di Casablanca, ha avuto da Luca tre bambine e nel 2017, due anni dopo il matrimonio, ha fondato e presiede a Kinshasa l’associazione di volontari italiani e no “Mama Sofia ONLUS”, dedicata alle giovani madri in difficoltà e ai bambini di strada nella capitale congolese e nella parte centrale del Paese. Ha fatto anche costruire una casa per loro con denaro procurato dalla CEI.

Ad ottobre ha ricevuto col marito il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace 2020, conferito da un’associazione in provincia di Salerno.

Zakia, musulmana, si è sposata con Luca Attanasio per la prima volta in Marocco, poi in chiesa Limbiate con riti speciali previsti quando gli sposi hanno religioni differenti. Infatti contrariamente a quanto detto da qualche esponente islamico italiano(fortunatamente non da tutti), Luca era cattolico (altrimenti perché si sarebbero celebrati i funerali in Santa Maria degli a Roma?) e la moglie stessa lo ha detto. Andava anche in chiesa e lei lo accompagnava e viceversa: per amore si recavano l’una nel luogo di culto dell’altro. “La Costituzione italiana, all’articolo 19, riconosce che ‘tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede’ “ – ha ricordato la signora Attanasio – “Eppure c’è chi considera ragione di discussione se suo marito si fosse convertito all’Islam oppure no.”

“Tra di noi – ha proseguito, parlando del suo rapporto col marito –dopo che ci siamo conosciuti è andata così: ognuno ha la sua religione, ha la sua identità e l’amore era più forte. Ognuno ha mantenuto la sua identità con rispetto dell’altro. Non è che sia complicato … Alle volte non capiamo perché certa gente deve approfittare di momenti così brutti per inventarsi le cose”.

“L’Italia è nel cuore. È stato sempre il mio secondo Paese. È il Paese di mio marito, ho tre bimbe con identità italiana. All’Italia sarò sempre grata. Chiedo di rispettare Luca. Rispettiamolo, si rispetti il nostro dolore. Lo dico a chi vuole solo scrivere per scrivere, senza avere informazioni, o cambiare mie parole per dare un altro senso. Chiedo rispetto. Rispetto per una persona che amava il suo Paese”. Zakia ha dimostrato coraggio anche dicendo che qualcuno che conosceva Luca e dove andava, l’ha venduto e tradito. L’Italia pretenderà giustizia, ora che anche William Hassani, il magistrato congolese che indagava sulla morte di Luca Attanasio, su quella del carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo Baguna, è stato a sua volta assassinato?

Un’altra donna che vogliamo omaggiare in occasione dell’8 marzo è l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh, 33 anni di carcere e 148 frustrate per la sua difesa dei diritti umani, delle donne in particolare e del loro diritto di non portare il velo, obbligatorio in Iran. Accuse? Incitamento alla prostituzione e attentato alla sicurezza nazionale!

Una settimana fa l’Organismo Congressuale Forense (OCF) ha chiesto “a nome di tutti gli avvocati d’Italia al Governo Italiano  e al Ministro degli Esteri Di Maio un intervento immediato per esercitare pressioni sul Governo dell’Iran”, perché Nasrin “è in condizioni gravissime dopo un lungo sciopero della fame, e nonostante questo dimessa dall’ospedale e trasferita nuovamente in carcere”.

Il Vaticano, che attraverso l’associazione di Pordenone “Neda Day” (così chiamata in memoria della manifestante Neda Agha Soltan, uccisa a Teheran il 20 giugno 2009 dopo elezioni presidenziali che hanno visto di nuovo al potere Mahmoud Ahmadinejad) ha ricevuto una lettera da Reza Khandan, marito dell’attivista, ha aderito a sua volta alla campagna internazionale per liberarla.

Rimanendo in Iran, ha avuto parecchia eco anche in Italia la tragica vicenda di una donna di 42 anni, Zahra Esmaili, condannata all’impiccagione per aver ucciso il marito violento con lei e i loro figli, morta di crepacuore per aver visto finire col cappio al collo sedici persone prima di lei, ed impiccata lo stesso.

Continuiamo con l’attivista curda per i diritti delle donne e Segretaria Generale della Siria del Futuro Hevrin Khalaf, 34 anni, violentata ed uccisa il 12 ottobre 2019 in Siria durante un’offensiva di una branca filo – turca dell’Esercito siriano contro l’Ypg.

Spostandoci in Turchia, l’avvocata Ebru Timtik, 42 anni, è deceduta dopo 238 giorni di sciopero della fame. Era stata arrestata con dei colleghi con l’accusa di connessioni col Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (DHKP/C), una formazione di estrema sinistra considerata terroristica da Ankara, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. La sua colpa? Chiedere processi equi per sé e gli altri accusati.

Ancora, finalmente una bella notizia, con il rilascio quasi un mese fa dell’attivista saudita Loujain al – Hatloul, 31 anni, arrestata nel 2018 dopo essersi battuta a lungo per il diritto delle donne alla guida. Purtroppo l’arresto è avvenuto pochi mesi prima che questo diritto fosse finalmente riconosciuto.

A dicembre Loujain è stata condannata a 5 anni e 8 mesi con l’accusa di “incitamento a cambiare il regime di governo del Regno e aver cooperato con individui ed entità per portare avanti un’agenda straniera”. Praticamente per terrorismo (il tribunale era stato creato ad hoc).

Se non altro gli anni di pena che le restavano (2 anni e 10 mesi) sono stati sospesi a patto di “fare la brava” (questa la sostanza) almeno per tre anni. Rimane in carcere (tra le altre) Samar Badawi, attivista e sorella del blogger Raif, che hanno cercato di aprire un dibattito sull’islam.

Un’altra grande donna araba, intellettuale notissima anche in Italia, è la libanese Joumana Haddad, poetessa, scrittrice, giornalista e attivista dei diritti umani e delle donne. Da diversianni è indicata tra le donne arabe più influenti a livello globale dalla rivista “Arabian Business”. Viene interpellata da diversi giornali italiani per commentare, sempre con grande lucidità e competenza la situazione politica del “suo” Libano (ad esempio la tremenda esplosione al porto di Beirut avvenuta nell’agosto scorso). Nel 2018 si era anche candidata come indipendente, ma ha denunciato che le è stata letteralmente rubata una vittoria a seggio già assegnato e il suo caso è stato tutt’altro che il solo.

di Alessandra Boga

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