Genuflessione e politically correct, la medaglia è sempre la stessa

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Tantissimi anni fa, nel 328 d. C., Alessandro Magno, introdusse il gesto della genuflessione come segno di reverenza nei confronti di un re o di un nobile. Inginocchiarsi è una pratica che nelle religioni Cattolica, Anglicana, Luterana, Ortodossa, e nel rito bizantino ha un ruolo molto importante, ed è il gesto di massima reverenza dell’uomo nei confronti della divinità. Assodato che il Medio Evo propriamente detto è stato nei secoli soppiantato da Umanesimo, Rinascimento, Illuminismo, ecceteraeccetera, e che la maggior parte dei cattolici osservanti risulta oggi affetta da sindromi artrosiche, che impediscono loro di inginocchiarsi durante le funzioni religiose che liberamente scelgono di seguire, pare legittimo chiedersi quali prodigi si stiano verificando se autorità politiche, sportivi, gente comune, di ogni età e stato di salute, improvvisamente riesca a  flettere il ginocchio posandolo a terra e stare. Così, impassibili a qualsiasi deficit ortopedico. Il gesto dovrebbe manifestare, nelle intenzioni di chi si genuflette, una aperta condanna al razzismo.

Bene, benissimo, anzi no: Essere contro il razzismo è un normale sentire della gente normale e sana di mente. Il sostegno alla causa opposta, l’apologia del razzismo è invece una grave patologia sociale sulla quale è giusto intervenire sempre. Ovvio, scontato, quasi noioso. Sociopatici ed esaltati che compiono atti ignobili, in nome di una qualsiasi supposta razza, sono sociopatici, appunto. Si scopre sempre, nel corso delle indagini su questi individui, qualche ragione, clinica, farmacologica, psichiatrica che spieghi i loro pericolosi quanto assurdi comportamenti.

Lottare contro il razzismo è sempre una buona causa ci mancherebbe, ma altrettanto fondamentale è la coerenza di chi protesta. Non si può infatti genuflettersi e guardare il vuoto con lo sguardo fiero di chi sente di compiere un gesto che riequilibrerà le ingiustizie, quando a casuccia c’è una colf, magari straniera, che lavora sottopagata o senza contratto.

Non si può, guadagnando un quantitativo di soldi che gli umani, di grado semplice e senza stellette, non riuscirebbero a guadagnare in tutta la vita, sottopagare i dipendenti della propria azienda. Vuommeche. Questo il termine in dialetto napoletano per la new wave del ginocchio a terra. Svenevolezze, sdolcinature e smorfie che possono metaforicamente indurre al vomito, dal latino volgare vomicum cioè vuommeco. Come gli assassini che seminano morte, una pistola in una mano e il rosario nell’altra. Più che fede si può dire: è vuommeco. Calza a pennello il sottotitolo di una vecchissima trasmissione televisiva: tutto quanto fa spettacolo. La trasmissione è un cult, e su questa frase, in suo nome, si è modellata tutta l’attuale società. Godi sorella godi.

Richard Millet nel libro “L’antirazzismo come terrore letterario” illustra come si stia usando il dualismo razzismo-antirazzismo per promuovere sempre di più il politicamente corretto. Eugenio Capozzi, che sul politicamente corretto ha scritto, in tempi non sospetti, un libro, racconta come dal politicamente corretto al terrore sociale il passo sia brevissimo. Chi non si genuflette ad esso è accusato di intolleranza, razzismo, omofobia.

Millet spazza via qualsiasi dubbio: la new wave non è solo una questione di forma o di stile.  Non è più solo una questione di terminologia addomesticata per timore di usare il termine più appropriato. I vecchi sono diventati persone anziane, gli obesi sono gli affetti da sindromi metaboliche, i travestiti crossdresser.  Il lupo, per non dispiacere agli animalisti, non crepa più, ma evviva evviva.

Forza e coraggio allora, un popolo può non inginocchiarsi ed essere accogliente e solidale con tutti quelli che lo meritano a prescindere dal pedigree. Le statue restino splendide nella propria nudità perché l’arte e la bellezza non offendono mai. Inginocchiarsi per protesta contro le ingiustizie porterebbe ad un popolo perpetuamente in ginocchio e, siccome le ingiustizie non sono un gioco, per combatterle ci vuole gente seria, in piedi, ben dritta e con lo sguardo fermo. Genuflessione e contrizione riserviamoli al Dio in cui crediamo o al massimo al protocollo formale degli incontri con le massime autorità civili e religiose degli stati.

Di Fabiana Gardini

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