Il M5S crolla e Di Maio si finge atlantista

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Francesca Musacchio – COSA NON SI FA PER SALVARE LA POLTRONA…

Mentre il Movimento 5 Stelle crollava, Luigi Di Maio si fingeva atlantista costretto a fare da padrone di casa durante le riunioni Ministeriali Affari Esteri e Sviluppo per il G20 a Matera. Un impegno vissuto con “pesantezza”, dicono ambienti vicini al titolare della Farnesina, perché proprio mentre a lui toccava accogliere in Italia personaggi come Antony Blinken, il Movimento implodeva. E la sua diplomazia (o meglio quella imposta dai “pensatori” del M5S che guardano con molta simpatia verso autocrazie, teocrazie e dittature di vario genere), è stata costretta a virare, anche bruscamente.

L’arrivo di Mario Draghi al governo, è ormai noto, ha riportato l’Italia sui binari dell’atlantismo e dell’europeismo. E il solerte Di Maio, nonostante le pressioni da parte di Beppe Grillo e non solo, ha dovuto rimettersi in carreggiata. Del resto, per sopravvivere politicamente deve modificare la sua linea in politica estera.

E quindi, il 28 giugno 2021 Blinken è arrivato a Roma. Ha incontrato Mattarella, Draghi, Di Maio e pure il Papa. Secondo fonti interne all’ambasciata Usa, il segretario di Stato avrebbe ribadito, sempre diplomaticamente, la posizione nei confronti della Cina soprattutto a Di Maio e poi a Bergoglio, quest’ultimo autore di un accordo riservatissimo tra il Vaticano e Pechino sulla nomina dei vescovi.

Draghi, durante il G7 in Gran Bretagna, aveva già discusso con Joe Biden e l’impegno tra i due sarebbe quello di ridimensionare (se non smantellare) il progetto della Via della Seta. Del resto, il Premier italiano in Cornovaglia aveva chiarito che l’accordo firmato nel  2019 dal primo governo Conte (l’Italia è stata l’unico Paese a siglarlo), sarebbe stato oggetto di riesame. Un progetto partito già nel 2017 quando Xi Jinping, in una Pechino blindata, presentò a 29 tra capi di Stato e di governo, durante il primo forum internazionale, la OneBeltOne Road. A quei tempi, in Italia il presidente del Consiglio era Paolo Gentiloni che non ebbe molti problemi a sostenere l’obiettivo della Cina di investire, ad esempio, nei porti di Genova e Trieste. Nonostante gli alert dei servizi segreti. 

Con l’arrivo dei Cinque Stelle, però, la corrispondenza di amorosi sensi tra l’Italia e la più grande dittatura comunista esistente si è trasformata in una vera e propria storia d’amore.

Ma adesso Di Maio è costretto a dichiarare pubblicamente che la Cina è un partner commerciale per l’Italia, ma che questo non mette in discussione l’alleanza atlantista e europeista. Tale dichiarazione ha creato forti malumori nel leader maximo Beppe Grillo, già parecchio infastidito per il tentativo di Giuseppe Conte di soffiargli sotto il naso il Movimento. L’ex comico, proprio durante il G7 in Cornovaglia, fu ospitato dall’ambasciata cinese in Italia a cui, pare, avrebbe rinnovato la fedeltà del Movimento alla linea di Pechino. Grillo dunque non poteva accettare la linea di Giuseppi che aveva tutta l’intenzione di trasformare il M5S barricadero e comunista in una specie di democrazia cristiana 4.0. E allora ha rotto gli indugi e silurato Conte. Ma il cerino è rimasto ancora in mano a Di Maio che al G20 di Matera non ha potuto parteggiare per la Cina (almeno non platealmente).

Difficile difendere una dittatura che vìola i diritti umani, arresta i giornalisti, perseguita le minoranze religiose, fa concorrenza sleale in tutti i campi dell’economia e mente anche sull’origine di un virus che ha diffuso nel mondo la pandemia da covid19.

Mario Draghi è consapevole di tutto questo e più volte avrebbe spiegato a Di Maio la linea da seguire in politica estera. Adesso tocca a Giggino decidere da che parte stare.

Di Francesca Musacchio tratto da Ofcs

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